venerdì 28 dicembre 2012

Il Natale (3)

"MY FEARS? MY FEARS ARE THAT I WILL NOT BE THE PERSON I ONCE WAS.
THE FEAR THAT WHAT EVERYONE HAS TOLD ME, TO BE TRUE.
SOMETHING CLOSE TO I WILL NEVER BE WHAT I AM MEANT TO BE,
AND WHO I AM MEANT TO BE.
THAT THIS, ALL I BELIEVE IN.
WITH ALL MY VERY HEART AND SOUL, IS WRONG. IS A LIE. (...)"


Soprattutto durante il Natale, quando le convivenze e la divisione di taluni spazi di vita e di tempo 
con determinate persone diventano inevitabili, io divento una brutta persona.
Io non mi considero una brutta persona. 
Non mi spingerò a dire che sono la persona più dolce e tranquilla del mondo. 
Sono permalosa e intransigente. E possiedo i difetti di un essere umano medio al completo.
Ma posso affermare con tutta l'onestà che possiedo e senza incorrere in alcuna indulgenza soggettiva, 
che non sono una persona cattiva.
Non sono arrogante, non sono supponente, non sono in nessun modo prevaricante, non sono prepotente,
né intollerante. Non ho manie di onnipotenza, né sono bugiarda e ipocrita.
Cerco di non perdere mai il controllo e il senso della misura. 
Non ci riesco sempre, ovviamente, ma le volte che è accaduto le conto sulle dita di una mano.

Ci sono persone meschine e intollerabili, che fanno della loro malafede una sorta di onore e vanto,
che sono obbligatoriamente comprese nella mia vita
per grado di parentela (quindi persone di cui non riesco a liberarmi perché in qualche modo inamovibili) 
che, tuttavia,
hanno la capacità di far venire alla luce la parte di me più brutta e cattiva.
Una parte in cui la rabbia e gli atteggiamenti aggressivi travalicano il buon senso.
Una parte che evolve in una sorta di furia ceca che mi trasforma in una persona da biasimare, 
le cui reazioni fuori controllo finiscono inevitabilmente con l' essere condannate.
Una persona che,per inciso non mi piace e che ho fatto di tutto per non diventare.

Oggi ( per l'ennesimo anno consecutivo) è stato uno di quei giorni in cui mi sono trasformata
in questa persona, senza nessun preavviso conscio che mi aiutasse a prevenirlo.
Oggi mi sono forse convinta definitivamente che il Natale non tira fuori il meglio e il buono delle persone,
soprattutto di quelle persone che diamo per scontato dovrebbero essere buone con noi,
soprattutto di quelle persone che buone in realtà non sono e migliori non vogliono nemmeno esserlo;
al contrario è un periodo breve in cui tutti i lunghi e per niente automatici sforzi 
fatti da coloro che vogliono migliorare, 
dimenticando le amarezze e le situazioni irrisolte del proprio passato, 
vengono vanificati nel giro di un giorno o due.
Oggi ho imparato ad odiare senza riserve e a non perdonare. 
E non ne sono fiera, né mi sento in pace con me stessa.

Posso solo contare le ore che mi separano dal ritorno alla mia normalità, che per forza di cose 
deve tenere fuori le persone di cui sopra.
Ma quella normalità al momento mi sembra lontana e anche quando arriverà,
avrà un prezzo altissimo da pagare e sarà la soluzione meno peggio.
Ed io continuerò il mio odio silenzioso e indiscriminato del Natale anche nelle mie vite future.

domenica 23 dicembre 2012

Il Natale (1)



"Fermi così! Che fretta c'è?qualcosa mi sfugge...ma cos'è?E ce n'è dell'altro che vi dirò fra un po'sulla fama del loro re grida tanto che tremerete anche voi quindi buon natale amici miei!se qualcosa non gli va quel monarca fa l'aragosta invece che il re quando vola lassù sul trabiccolo coi suoi sacchi va cosa porterà?Questo è quello che si sa:e nella notte lui, con la luna va, e cala su di noi come fanno gli avvoltoi buon natale a tutti voi!"
                                           Tim Burton's The Nightmare Before Christmas (H.Selick, 1993)

                                                                                                                    To Be continued 


"Cosa? Dove? Chi? Io? Non facevo assolutamente niente...anzi...aiutavo!"
Ho una gatta che, quando non guardo, cerca di incartarsi e infiocchettarsi da sola.
Ed io la amo ancora di più perché riesce a farmi dimenticare quanto odio questo periodo dell'anno.

mercoledì 12 dicembre 2012



SIRENE DI NAVI URLAVANO AL VENTO
LA RADIO PASSAVA LE PUBBLICITA'
LE LABBRA ACCOSTATE ANCORA UNA VOLTA
ED UNA CAREZZA ANCORA...
UN FILO DI SOLE ENTRO' NELLA STANZA 
SULLA POLTRONA I NOSTRI PALTO'
PAROLE INGHIOTTITE E SGUARDI BAMBINI
E COME POTERTI DIRE CHE TU ERI...

PIU' DEL VINO PIU' DEL PANE PIU'
DELLA PELLE 
DELLE OSSA PIU'
PIU' DEI SASSI PIU' DELL'ERBA PIU'
PIU' DI TANTO PIU' DI TUTTO PIU'
PIU' DEL CORPO PIU' DEI TETTI PIU'
DELL'INVERNO DELL'ESTATE PIU'
DEI CAVALLI DEL CORTILE PIU'
UN PO' DI PIU'

UNA MADONNINA FOSFORESCENTE
E DEI FIORI FINTI SOPRA IL COMO'
CERCAVI I COLLANT DISTRATTA E INDOLENTE
E UN GIORNO DI PIU' ALLO SPECCHIO
IL FRIGO RUSSAVA DALLA CUCINA
E TU CANTICCHIAVI FACENDO IL CAFFE'
LA TRISTEZZA LUNGA DELLA MATTINA 
E COME GRIDARTI AMORE CHE TU ERI...

PIU' DEL CALDO PIU' DEL LETTO PIU'
DEI CAPELLI DELLE MANI PIU'
PIU' DEL PIANTO DI UN SORRISO PIU'
PIU' DI CENTO PIU' DI MILLE PIU'
PIU' DEI SOLDI PIU' DELL'ORO PIU'
DELLA PIAZZA DELLE GIOSTRE PIU'
PIU' DI UN MESE PIU' DI UN ANNO PIU'
UN PO' DI PIU'

SIRENE DI NAVI URLAVANO AL VENTO
E TU ERI UN PO' DI PIU'
PIU' 
PIU' DEL GRANO PIU' DEL FIENO PIU'
PIU' DELL'ARIA PIU' DELL'ACQUA PIU'
PIU' DEL CANE DEL MAGLIONE PIU'
  
                                                          C. Baglioni - 1978


Amo infinitamente questa canzone. 
Amo lo stile semplice,chiaro, privo di retorica inutile che la caratterizza, 
amo la ricercatezza dell'arrangiamento molto fine anni '70. così lontano dalla musica attuale eppure 
così magnetico. Ne ho ascoltato proprio questa sera un arrangiamento più attuale, eseguito un paio di anni fa alla Royal Albert Hall, impreziosito da un orchestra di fiati, sospeso tra il blues e soul, che ho trovato meraviglioso.

Più di tutto, però, amo  il concetto di sentimento che rimanda, che io assimilo da sempre, (o almeno da quando  l' ho ascoltata per la prima volta) a quella sensazione che si prova quando sei colto da un momento di profondo trasporto in cui sai, con una lucidità che poche volte si riesce ad avere nella vita, che l'altro, colui/colei che hai scelto, conta in assoluto più di qualsiasi altra cosa esistente o immaginata, reale o astratta. 
Per te e intorno a te non esiste più nulla, eccetto quell'insistente e radicato e (spesso) doloroso bisogno dell'altro. Un altro che, come ha scritto non so dove Gramellini, "combacia con le tue energie interiori".
E hai quella consapevolezza di volerlo/a, di accettarlo/a in ogni sua sfumatura e nella sua umanità.
Vivi quella sorpresa rapita, che non può essere descritta con parole adatte e abbastanza pregnanti nel significato, di essere con qualcuno e riuscire a trovare un significato continuo e mai interrotto nel vostro essere insieme, di poter restare te stesso/a, nella maniera più intensa che possa esistere, e allo stesso tempo prendere coscienza che puoi essere qualcos'altro di più.
Nessuna canzone, per quanto mi sforzi di ricordare o classificare, ha centrato in maniera così estrema e determinata e totalizzante il concetto che io associo all'essere innamorati di qualcuno.

(Per chi si trovasse a passare di qui ed esordisse con il solito fastidioso  "noooo,Baglioni noooooo" faccio giusto un piccolo appunto:, Baglioni potrà piacere o non piacere, ognuno hai il diritto di avere i propri gusti e di avere la libertà di esprimerli. E potrei passare ore a scrivere di quanto siano ingiuste  e acritiche le etichette limitanti e offensive che questo artista e la sua musica ( e per estensione i suoi fans) si sono visti appiccicati addosso nel corso di una carriera intera, ma non è nel mio interesse. A volte, le critiche ingenerose sono anche determinate, al di là del gusto personale a senso unico, anche dalle scelte forzate imposte dal mercato discografico Io non riuscirò mai a farmi piacere il metal o il raggae. O i Coldplay. E in qualche caso gli U2. Ma di solito fornisco una spiegazione chiara del perchè e non sentirò di avere una cultura musicale meno "giusta" o appropriate di chi ascolta altro. Nel caso di Baglioni si tratta proprio di ignorare l'esistenza di altri testi che non siano le hit più sdolcinate e smielate, penso a  "sabato pomeriggio" o "questo piccolo grande amore". Si tratta di poca voglia di approfondire e più spesso di una sorta di razzismo che non ho mai capito a fondo, ma questa è una considerazione abbastanza personale con cui si può essere o meno d'accordo. E chiudo qui il discorso)

domenica 9 dicembre 2012

" (...) rileggere un libro amato è come tornare in un luogo sacro in cui nulla è cambiato, 
esperienza per noi ovviamente impossibile perché il mondo cambia sempre.
Se un libro cambia è soltanto perché siamo cambiati noi e 
lo affrontiamo in modo diverso, ma è sempre una soddisfazione meravigliosa
incontrare di nuovo l'universo di un romanzo come questo
e avere la certezza che esistono delle cose belle indifferenti alla brutale 
e inevitabile azione del tempo.
Ecco uno dei regali che dobbiamo all'arte:
la sensazione che  non tutto è perso, che alcune cose restano 
perfette e inviolabili."

                                                    letta QUI

Rileggere i miei libri preferiti è, per me, una necessità. E' un consuetudine radicata, un gesto scaramantico.
A volte ho l'impressione che sia quasi un'ossessione.
Un'ossessione che, tuttavia, mi salva dai brutti pensieri. E di brutti pensieri se ne fanno anche troppi.
Un'ossessione che riesce a proteggermi da me stessa. 
Qualsiasi cosa succeda l'ha fuori, io ho un posto sicuro in cui rifugiarmi.
Sono solo in disaccordo sul fatto del cambiare: penso piuttosto che moduliamo e adattiamo noi stessi,
su ciò che ci accade. O, meglio, su ciò che non accade. Ma restiamo come siamo.
E quando rileggiamo i libri amati, semplicemente vediamo meglio, comprendiamo di più, impariamo di più, esplorando infinite possibilità.
Viviamo di più e ogni volta meglio, perché magari riusciamo a prestare attenzione a particolari che ad una prima lettura ci erano sfuggiti, perché magari in precedenza eravamo focalizzati su una cosa piuttosto che su un'altra.
Esorcizziamo il male di vivere, ci proteggiamo dalla pazzia anche. 
Almeno, per me è così.

martedì 27 novembre 2012

Ruby Sparks


"LA PERSONA PERFETTA PER NOI NON CENTRA NIENTE CON LA PERSONA CHE CI IMMAGINIAMO. TRA I FATTORI PIU' IMPORTANTI DELLA PERFEZIONE, C'E' LA SORPRESA. QUINDI NON DEVE ESSERE COME CE L'ASPETTIAMO, E' QUELLO CHE CI ASPETTIAMO CHE POI DIVENTA COME AL SUO ESSERE" - DAPA

Non avendo altro modo produttivo di impiegare le mie giornate, mi sono concessa di dedicarmi alla cosa che in qualche modo mi fa rimanere ancorata alla realtà e non mi fa sprofondare nella depressione più assoluta: il Cinema.
Ho stillato un programma abbastanza dettagliato che ogni giorno, fino al prossimo sabato, scandirà le mie giornate a ritmo di film, in giro per Torino. Non importano le levatacce, né le file chilometriche, né il personale del cinema leggermente e fastidiosamente inetto: è novembre e sono di nuovo in pieno Torino Film Festival.
Oggi è stato il turno di un'anteprima fuori concorso, presentato nella sezione Festa Mobile, opera seconda di Dayton e Faris ( quelli di Little Miss Sushine, per intenderci): Ruby Sparks 
Immaginate di essere uno scrittore di talento divenuto famoso in giovane età: avete l'intelligenza e una fervida fantasia, la fama, i soldi, un cane maschio che fa pipì come una femmina e vi fa sentire inadeguati, un fratello ossessionato dalla forma fisica e dalla vostra vita sessuale. Ma siete profondamente soli e fuori dal mondo, recalcitranti  e incapaci di tenere in piedi qualsiasi tipo di rapporto umano, a parte quelli con la vostra famiglia. Avete solo il vostro dono, la scrittura, a dare significato totalizzante alla vostra vita. 
Finché non entrate nel blocco dello scrittore.
Per aiutarvi, il vostro strizzacervelli vi chiede di scrivere qualcosa e voi, non si sa bene come o perché, create dal nulla la donna dei vostri sogni. E una mattina questa donna, la sintesi di tutto quello che desiderate al mondo,è lì nel  vostro appartamento. E ricominciate, anzi, cominciate a vivere davvero, nonostante provate la terribile sensazione di stare diventando letteralmente pazzi.
Esiste un detto che dice più o meno : "Attenzione a quello che chiedi, perché potresti essere accontentato".
Ma il protagonista ottiene qualcosa che va oltre l'essere accontentato: ottiene di creare e controllare letteralmente il destino e la mente e i sentimenti della donna della sua vita, semplicemente scrivendo un romanzo che parla di lei. In un certo senso, diventa un moderno Pigmalione che non ha bisogno di un dio per rendere viva una statua/donna che soddisfi in tutto e per tutto le sue aspettative e la sua idea d'amore.

Se si accetta di scendere a patti con una sceneggiatura divertente e surreale, che non sai dove voglia andare a parare  (perché ad un certo punto ti chiedi veramente se il protagonista non sia affetto da una qualche forma di schizofrenia, nonostante lo svolgersi della storia lo smentisca nei fatti), se ci si lascia trasportare dalla genialità del soggetto che ne è alla base (e dagli arguti e nemmeno tanto leggeri interrogativi che riesce a scatenare),nonostante alla fine non venga svelato il fatidico trucco, troverete questo film talmente sorprendente e accattivante da volerlo rivedere in loop. 
Eppure ho passato tutto il tempo a riflettere su una cosa: se accadesse veramente, quanti di noi riuscirebbero a non lasciarsi prendere la mano dalla possibilità concreta e infrangibile di creare letteralmente la vita di una persona e modellare la sua personalità e i suoi bisogni esattamente sui nostri, rendendola quell'essere perfetto da cui vogliamo essere amati ( cosa che in fondo è il fine ultimo di qualsiasi innamorato o presunto tale)?
Riusciremmo poi a lasciarla libera, totalmente padrona del suo destino, di lasciarla essere semplicemente se stessa e quindi altro da noi, di accettare la sua (nostra) imperfetta e svariatamente incredibile umanità, senza essere dominati da un'istinto solipsistico senza confini di sorta?

Vado a dormire con questi interrogativi nella mente, sperando di aver comunque creato un minimo di curiosità verso un film che vale veramente la pena di vedere.

mercoledì 21 novembre 2012

Il mondo stretto in una mano



"(...)desiderare giorni sempre assurdamente uguali, 
la mattina presto uscire insieme con gli occhiali scuri
e tutto il tempo che ci vuole per scoprirti piano piano
e consegnarti il mondo intero stretto in una mano."
D. Silvestri.                              


A volte mi capita di pensare a tutti i viaggi che non farò mai, a tutte le strade che non percorrerò,
a tutti i piccoli angoli di mondo che queste strade racchiudono e proteggono.
A tutte quelle vite che non sfiorerò, se non attraverso una fotografia, o il fermo-immagine di un film.

Non sono una persona che ama molto viaggiare. O meglio, non sono una persona brava nel viaggiare.
Non tanto per lo spostamento in sé o per le difficoltà che di solito mi derivano dalla lingua.
Come in un sacco di altre cose che riguardano il mio essere, sembra che non ne ho l'attitudine.
Mi viene sempre in mente il protagonista di "Novecento" , che  non è mai sceso sulla terra ferma e pur viaggiando da un capo all'altro del mondo, il mondo non l'ha mai visto, ma impara a conoscerlo ugualmente, attraverso le persone che incontra sulla nave. Viaggia senza spostarsi mai.
In ogni caso, al di là della sempre mia precaria disponibilità pecuniaria che mi permettesse di farlo, viaggiare non è mai stato il mio forte. Sono pochi i viaggi che ho fatto e che mi hanno lasciato ricordi positivi.
E poi, la mia ossessione per il tempo che passa, mi fa sempre pensare che non ho colto l'occasione per farlo quando avrei dovuto farlo, quindi forse, farlo ora non sarebbe la stessa cosa.
La verità è che. anche se il tempo per coprire le distanze, in questi anni, è diventato un'inezia, non si può dire la stessa cosa del tempo per godersi veramente le sorprese di un viaggio.
Forse non viaggio tanto anche perché i miei tempi per assimilare un ritmo diverso dal mio e non sentirmi fuori posto, non coincidono mai con quelli brevi e fuggevoli dei viaggi modernamente intesi. 
Ed io ho bisogno di scoprire le cose , i posti e le persone, piano piano. A poco a poco. A modo mio.
Per sentirle dentro e riuscire a conservarne una traccia indelebile dentro di me. 
E magari lasciare una traccia del mio passaggio che possa rimanere,che possa significare qualcosa per chi distrattamente ci inciamperà.
O forse la mia è semplicemente paura di perdermi e di sentirmi ancora più sola. Non lo so.
Così viaggio poco. Anzi non viaggio per niente, se non attraverso i luoghi cinematografici.
Ed è una triste ironia, se penso che l'argomento della mia tesi di laurea è stato il viaggio nei luoghi evocati dai film.

Oggi è una di quelle volte in cui vorrei poter chiudere la valigia, fare un biglietto, salire su un treno e andare. 
Non importa dove. 
Oggi è una di quelle volte in cui vorrei tenere il mondo stretto in una mano.

lunedì 19 novembre 2012



E' la bionda che avrei voluto essere se solo non avessi odiato così tanto essere bionda.

Avevo 10 anni quando è diventata famosa con  "When Henry meet Sally" (1989), ma quel film io lo avrei visto solo 10 anni dopo. il monologo finale di Billy Cristal è tra i miei preferiti di tutti i tempi.
In mezzo tante altre piccole commedie con poche pretese, di quelle terribilmente romantiche e divertenti,che ovviamente non faranno mai la storia del cinema, ma sono innegabilmente lo zenit e il nadir del genere. 
Il Vhs di "Insonnia d'amore"(1993) è stato il primo regalo che ho fatto a mia sorella, l'anno in cui arrivò a casa il primo ed unico videoregistratore. Quella cassetta c'è ancora, sebbene l'abbiamo vista talmente tante volte che credo sia un miracolo che sia ancora leggibile. E penso a lei nella scena in cui taglia la mela in un'unica striscia o arriva sull' Empire State  Building, come Cary Grant in "An affair to remember".
Personalmente ho amato tantissimo French Kiss(1995). Amica B., dopo aver visto la sua interpretazione ( ma soprattutto il suo modo di camminare) in quel film, mi guardò dritta negli occhi dicendo che ero come uno dei suoi personaggi, semplicemente con una faccia diversa. Sarò fuori di testa, ma per me quello è stato uno dei complimenti più belli che qualcuno potesse farmi.
La prima volta che ho pianto a dirotto e senza freni per un film è stato per City of Angels(1998). Un lunedì sera di fine luglio, a casa dell'allora Lovefriend. Mi ricordo il di lui sconcerto, nel vedere che non sembrava esserci modo per  calmarmi. Io, in un modo che ancora non so spiegare, lo trovai enormemente liberatorio.
E ancora adesso vorrei essere la sua Kathleen Kelly di "You've got a mail"(1998). Vorrei essere proprietaria di una libreria per bambini, in pieno centro a Manhattan. Non sentire niente, "non un un suono per le strade di New York, tranne il battito del mio cuore"[cit.]. E indossare quei vestiti e essere lei. Ma assolutamente senza Tom Hanks, sia chiaro.

Più di Julia Roberts, lei era e resterà (almeno nel mio immaginario) la Fidanzatina d'America, nonostante le recenti scelte estetiche alquanto discutibili.
Oggi compie 50 anni. Ed io voglio ricordarla così. E non dimenticare l'immagine di me che avevo un decennio fa.

domenica 18 novembre 2012


Camminare per Torino con le luci d'artista è sempre come essere in una sequenza di Dopo Mezzanotte...

"Recentemente, May aveva curato la pubblicazione per la Panderic di uno strambo dizionario di termini oscuri. Il titolo era "Gli Intraducibili" e si trattava di una scherzosa rassegna di alcuni termini assenti dalla lingua inglese. Interi sentimenti, interi concetti che restavano inespressi per il semplice motivo che non era mai stata coniata una parola in grado di definirli. Parole come mono-no-awaré, "la tristezza delle cose", un termine giapponese che definiva l'eterno pathos che fa capolino appena sotto la superficie della vita. Parole come mokita, che nella lingua Kirwina della Nuova Guinea indica "la verità di cui nessuno parla". Si riferisce al tacito accordo tra le persone di evitare chiare allusioni a certi segreti ben noti, come il vizio di alzare il gomito della zia Louise o l'inconfessata omosessualità dello zio Fred. O l'incidente allo Sheraton Timberland Lodge. O il fatto che Edwin fosse sposato. Anche quelli erano mokita. Era ciò che avvicinava Edwin e May e cià che li separava: un muro sottile, impenetrabile di mokita si frapponeva fra loro."E' un uomo sposato, è un uomo sposato." May se lo ripeteva ogni volta che provava la sensazione di toccarlo, delicatamente, sulla nuca. "E' un uomo sposato". Eppure, più se la ripeteva, più quella frase le sembrava sexy. 
[...]May lo guardò allontanarsi. Bevve  il suo caffè. Meditò su tutte le numerose mokita che affollano le nostre vite, dando loro consistenza e significato."
HAPPINESS . Will Ferguson,    Feltrinelli 2004, pg. 21-22 - 24.

Per chi se lo stesse chiedendo, (e a giudicare dall'enorme numero di contatti che arrivano qui per questo, qualcuno sembra esserci) il motivo per cui il mio nick e questo blog si chiamano "Mokita" è la citazione un po' lunga sopra riportata. E, di conseguenza, il libro da cui è presa.
E' uno dei miei libri preferiti. E' scritto terribilmente bene e anche in maniera divertente e scorrevole. 
E' ironico, satirico, e personalmente l'ho trovato geniale.
Talmente geniale da adottarlo senza il permesso dell'autore come una sorta di marchio di fabbrica.
Non è assolutamente un manuale di auto-aiuto, è un romanzo graffiante sull'auto-aiuto e sull'industria dell'editoria, ma soprattutto sulla vita e su chi insegue quella che dovrebbe essere la panacea di tutti i mali ed in realtà, sembra essere quello più pericoloso. 
Quindi, nella mia ottica, questo libro è molto di più di un romanzo.
Consiglio sempre a tutti la lettura di questo volumetto, che è l'ispirazione per tutto quello che ho scritto, che scrivo e magari scriverò. Oltre alla mia vita, s'intende.
Scrivo qui tutte quegli accadimenti o quelle cose  che per me sono delle Mokita su cui riflettere.
Ed è sorprendente, pensare che in questo momento della mia vita, le cose sono esattamente come nelle righe che ho riportato. 
O su cui io ho voglia di riflettere, sono punti vista. Scrivo di cose che spesso sembrano scontate o stupide o inutili.Lo faccio per me, più che per gli altri. E sebbene i confronti di idee  mi piacciano, va bene anche se non ne scatenano nessuno. Fatto sta che dopo, io sto sempre meglio e questo mi basta.

In questo caso, scrivo anche per un altro motivo:
non so ancora perché, esiste un link generato da google che porta gli utenti alla ricerca di un bar-catering nel posto sbagliato. Cioè, è piacevole ritrovarsi un sacco di contatti a questo blog quando ti svegli la domenica mattina o nei giorni di festa, ma preferirei che magari fosse per la voglia di leggere quello che scrivo piuttosto che per una richiesta di catering per il compleanno della zia adelina. 
Vorrei sottolineare, a scanso di equivoci, che non ne sono responsabile. 
In ogni caso ho segnalato l'errore, sperando in una celere correzione. 
Per chi comunque continuasse a ritrovarsi da queste parti per errore, il posto che cercate è qui
E' nella piazza più bella di tutta Torino, che è anche la mia preferita.Bevete un caffè per me! :)

venerdì 16 novembre 2012

giovedì 1 novembre 2012

ALCUNE PERSONE, SE SAI GUARDARLE, SONO SOLE...
" (...)E alcune persone sono sole, e tu lo vedi, perché gli manca qualcuno, e lo vedi perché il tempo non sanno più viverlo, si perdono i giorni, le ore distratte passate in posti in cui non vorrebbero essere. Alcune persone sono sole, e lo vedi, perché sembrano cercare il tempo che hanno perduto, e quel tempo non lo vogliono da nessuno, quel tempo lo cercano da se stesse."
Io. Ora. E in ogni minuto di ogni ora di ogni giorno degli ultimi anni. Ma soprattutto ora. 
A dirla tutta non saprei nemmeno dire quando sia cominciata con esattezza.
Lo sento e basta, che è così, perchè a volte mi vedo vivere come dal di fuori 
e la sensazione è un po' strana. 
Certamente è una cosa che sta lì e a cui non riesco a prendere le misure.
Non sono nemmeno sicura di riuscire a contenerla o gestirla.
Sta lì e aspetto che passi.
Solo non sapevo dirlo con quella precisione, con la stessa lucida consapevolezza che invece ha avuto
l'autore del post, di cui io cito giusto la fine.
Io, al massimo riesco ad abbozzarla a modo mio, ma quello implica poca chiarezza e un leggere tra le righe
che trovo un grande allungo di tempi e di attenzioni.
Lui/Lei lo dice meglio. E se c'è qualcuno che fa le cose meglio, è meglio che le si lasci fare a lui/lei.


mercoledì 31 ottobre 2012

SE PROPRIO DEVO DIRLA TUTTA, HALLOWEEN MI HA SEMPRE LASCIATO ABBASTANZA INDIFFERENTE.
SDRATICATA DA UN CONTESTO COME QUELLO AMERICANO, FINISCE CON L'ESSERE SOLO UNO SCIMIOTTAMENTO.
TUTTAVIA RESTA UNA BUONA SCUSA PER FAR COMPAGNIA ( UNA VOLTA DI PIU') A LINUS NEI SUOI DELIRI (!?).

martedì 30 ottobre 2012


Pascal Campion  Art - San Francisco, CA

Indecisa tra la voglia di tornare per qualche giorno lì e quella di restare qui,
ho ancora un giorno per valutare i pro e i contro.
Poi se non decido io, deciderà Trenitalia togliendomi la possibilità di 
confermare il biglietto che ho prenotato.

E intano ho scoperto i disegni di Pascal Campion e sono talmente belli
da riuscire a riprodurre la mia vita così come la vorrei e, in qualche caso,
così come veramente è.

Sarebbe troppo, forse, chiedere che disegni bellissimi come questi si trasponessero nella realtà, 
così come per magia.
Suppongo che costringerei l'autore a disegnare qualcosa che potesse cambiare il mio destino 
o farei di tutto per entrare in uno di quelli che disegna lui,
restando immobile e felice e bellissima nella serenità di una notte stellata di un posto indefinito.

lunedì 29 ottobre 2012


Questo l'ho trovato per caso e mi sono ritrovata commossa e con i lacrimoni già quando si arriva a 1:15 e appare questo vecchietto cieco della Lousiana che pare si chiami Grandpa Elliott.
E' come quando vedo uno di quei filmoni strappalacrime dei miei, ma questo è anche un po' meglio, e ho pensato che la cosa andasse inviata nell'etere come se non ci fosse un domani.
Bello.Bello.Bello.

venerdì 26 ottobre 2012

Quello che mi resta è

L'aria pungente delle 7,30 del mattino.
Non importa che sia estate o inverno, a Torino è pungente uguale.
E ti sveglia.

Le persone alla fermata, quella dove ho aspettato il 68 per quasi ogni mattina degli ultimi sei mesi.
Immancabilmente vicino al lampione c'è sempre una coppia,
lei è una donnona bionda, alta e possente,lui è quasi 10 cm più basso di lei ed ha una faccia talmente  simpatica che ti vien voglia di essergli subito amica.
Ogni tanto ho pensato che si siano sposati da poco, sebbene dai gesti e dalla confidenza,
la sensazione è che siano una coppia di vecchissima data.
Si sono salutati con un bacio ogni singola mattina,sia con il bello che con il cattivo tempo.
Anche quando sembravano arrabbiati o assonnati e senza voglia di parlare.
Ed io ovviamente gli ho invidiati tanto.
C'è il vecchietto con il bastone,che mi ha fatto sempre tanta tenerezza.
Le due signore bionde che parlano una lingua che non conosco, forse rumene.
Il ragazzo terribilmente carino sempre con l'ipod in mano e un sorriso sornione che spunta spesso 
mentre cerca la canzone giusta per cominciare la giornata.
Il ragazzo bassino con la barbetta e gli occhiali da hipster, che assomiglia tanto 
ad un personaggio di una sitcom, un po' goffo ma geniale.
Ogni tanto c'è anche il mio (adorato) professore di sceneggiatura, quello con cui avrei voluto fare la tesi,
che spunta con il figlioletto duenne e tanti libri sotto il braccio.

Il 68 sempre strapieno, che spesso viene sostituito da una corsa e dal 18 preso al volo.
Strapieno pure quello, ma in qualche modo devo raggiungere l'altra parte della città.
Porta Nuova che alle 8 del mattino sembra un po' Porta Palazzo il sabato pomeriggio.
E poi il 33. Perchè il 10 è sovraccarico della folla di studenti che scenderà al Politecnico.

Quando arrivo a destinazione, è' sempre inesorabilmente tardi, 
ma non sono mai riuscita a fare a meno di un cappuccino al bar e due chiacchiere con Claudia, 
la barman (o dovrei dire barwoman?bah...) del Newscafè all'angolo. 
Non sono riuscita a salutarla e un po' mi dispiace.
E poi incrocio il ragazzo che lavora nel tabaccaio a fianco, 
che sembra la copia con meno muscoli di James Magnussen,
con il quale non ho mai scambiato una parola, anche perchè ero sempre persa a guardargli gli occhi.
E tutto quello che c'era intorno.

L'ufficio è nel seminterrato.
La mia postazione che non è la mia, con il pc che romba già qualche minuto dopo l'accensione,
quasi fosse un aereo in fase di decollo.
Il silenzio innaturale che non è mai stato scalfito da un urlo o da uno scoppio di risa.
Ma io sono un po' sorda, potrei non essermene nemmeno resa conto.

Collega R.R., che in realtà non è un collega, ma un amico del capo.
Ho sentito storie sul suo conto che non mi sentirei di ripetere.
Mi limito a ricordarne l'eterno lamentarsi della Vodafone e i fischi imprevedibili nel silenzio più totale,
nonchè il fatto che riuscisse a raccattare qualsiasi cosa che il mondo decide di buttare.

Le telefonate sistematiche e ripetute di un ingegnere di Udine alle 8.45 del mattino, 
il tramite per un lavorone veramente grande a cui partecipa lo studio,
che si presentava quasi sempre bisbigliando,per Cognome e Nome,
detti tutti d'un fiato, come fosse un unica parola.
E  Collega F. che impreca sonoramente quando sente squillare il telefono, 
perchè sa già chi è, e impreca anche mentre gli passo la chiamata, 
ma quando è in linea ritrova immediatamente il suo tono più professionale e attento.
E poi quando arriva l'ora di pranzo,la  passa interamente a guardare i film più svariati

CollegaAmica, che conosco da quasi un anno e che mi ha portato questo lavoro,
con i suoi occhi verdissimi che sorridono anche quando è stanchissima
perchè la sera prima ha fatto tardi per una degustazione di vini.
Composta e pacata  anche quando è  decisamente incazzata con me, 
che la stuzzico quando le dico che si prende troppo sul serio ed è proprio un'ingegnere.
Sempre pronta a prendere in mano la situazione e gestire le mie crisi,
soprattutto al di fuori del lavoro.
CollegaAmica che è una buona forchetta e organizza gli aperitivi e le cene e le spedizioni alle sagre,
e mi presenta tanti uomini che mi colpiscono, ma che riesco a vedere una volta ogni 3 mesi.
CollegaAmica che mi consiglia di abbattere tutti i paletti che ho e cerca di aprirmi gli occhi
e mi rimprovera che dovrei smetterla di scappare quando le cose si fanno serie
(Già, e cominciare a vivere).

La SorellaStronza del capo resta la sorellastronza del capo e su di lei non dirò altro.
Per il mio bene e anche per il suo.

I tatuaggi dell'elettricista. E l'elettricista.

La voce di Collega A., l'ultimo arrivato in studio,
che ogni volta che risponde al telefono e dice "ciao" anche quando parla con un suo superiore,
lo fa in modo talmente buffo e tenero, che mi è venuta spesso voglia di 
registrarla e tenerla come suoneria da sentire appena sveglia al mattino.
Non gliel'ho mai detto, ma la sua è la voce più bella di tutto l'ufficio,
quella che rasserenerebbe la persona più agitata,
quella che è troppo bello ascoltare e non per motivi maliziosi,
ma semplicemente perchè è bella bella bella.

E poi c'è D., o  Sportivone,come lo chiamo io.
D. è' stata la prima persona che ho incrociato quella mattina di aprile 
in cui mi sono presentata per il colloquio e non sapevo a cosa andavo incontro.
La quintessenza dell'ingegnere tipo, lavoratore indefesso.
Il suo appetito è direttamente proporzionale al suo stacanovismo.
E' professionale persino nell'organizzazione del pranzo.
D. che mi saluta sempre dicendo "bonjour" quando arriva e mi chiede ogni giorno come va.
D. che mi prende in giro senza misura per qualsiasi cosa, 
centrando con una precisione chirurgica tutti i miei difetti e le mie mancanze,
facendolo quasi ininterrottamente fino a che proprio non mi fa incazzare,
perchè proprio non riesce a farne ameno,
ma poi è quello che in qualche modo mi tira su di morale e mi conforta 
quando sono profondamente demoralizzata per i casini che combino.
D., profondamente ottimista che mi rimprovera  il mio pessimismo cosmico 
e il mio essere contraddittoria senza speranza.
D. che è alto, magro e biondo e pedante.
D. che guarda film solo quando piove e va al cinema una volta l'anno e solo per i film in 3D.
D. che mi sfida in una gara di nuoto e compra le pinne per essere più veloce.
Io uno così Ingegnere nel midollo lo dovrei odiare a prescindere e senza riserve, 
e invece è in assoluto il miglior collega che abbia mai avuto in quasi dieci anni di lavoro:
senza il suo aiuto probabilmente non me la sarei mai cavata e 
avrei vissuto molto molto (ma molto) male questi sei mesi.

Tutte le sere che ho fatto straordinario per scrivere lettere in francese.
La prima che ho scritto mi ha fatto arrivare tardissimo a cena dalla Famiglia del Mulino Bianco
e fatto perdere l'inizio di quasi tutte le partite degli europei dell'Italia.
Ed ho imprecato e faticato e non lo so se il francese sono riuscita a metabolizzarlo e scriverlo per bene. Certamente ho capito che io e i francesi proprio non ci prenderemo mai.
Ma che forse sarebbe ora che io vada 2-3 giorni a Parigi prima di arrivare a rimpiangerlo.

Questo lavoro è stata insieme l'esperienza più formativa e tribolata di tutta la mia vita fino ad ora.

Tre giorni fa il mio contratto è scaduto.
Ed io lo sapevo che sarebbe scaduto, ma ho sperato fino all'ultimo che si protraesse per un
altro paio di mesi.
Ora sono nuovamente con il destino appeso ad un filo.Questa volta ancora più sottile dei precedenti.
Ho tanto presente davanti e un futuro che non riesco a vedere, perchè potrebbe non esserci
e se ci sarà, ancora una volta sarà pieno di compromessi indigesti e di scelte che non mi vanno bene.

Ed io continuo a guardare a quello che mi resta perchè almeno è qualcosa di tangibile e di vivo,
con tutta una sorta di svariate sfumature che mi resteranno dentro per molto tempo.
Continuo a guardare a quello che mi resta, alternando i sorrisi alla paura e all'autocritica,
cercando il modo di migliorarmi.
Continuo a guardare a quello che mi resta. Anche perchè al momento non so proprio cosa altro fare.


giovedì 25 ottobre 2012


"CI SONO PERSONE CHE TIRANO FUORI IL PEGGIO DI TE,
ALTRI TIRANO FUORI IL MEGLIO, 
E POI CI SONO QUELLI RARI, DAI QUALI DIVENTI DIPENDENTE,
CHE TIRANO FUORI SOLO IL PIU'."
                                                                         K. MONING


E' un periodo in cui tutte le persone che considero "le mie persone" sono lontane,
per fortuna solo fisicamente.
Amica B. è in Canada a vivere la sua avventura americana.Tornerà. Forse. Prima o poi.
I., aka la mia Coscienza, ha intrapreso la sua nuova vita di donna sposata nel nord del sud.
E anche se c'è, sempre, anche quando penso non ci sia, mi manca molto non averla intorno.
Gran parte delle compagne di avventura degli ultimi due anni torinesi vivono la loro vita altrove
o in ogni caso, la loro vita non si incrocia mai con la mia.
Rat-R., l'amico di tutta una vita, è in quel di Roma, a fare i conti anche lui con le lontananze non preventivate,
nè richieste.

Ed io sono qui. 
In una città che amo alla follia, della quale vorrei vivere tutte le sue mille e una meraviglie,
con una vita che vorrei vivere anche quella,non dico fino in fondo, ma fino a quanto basta,
perennemente alla ricerca di me stessa, di sorrisi sconosciuti, di brividi inaspettati 
e novità che comunque non arrivano a lenire, in qualche modo, la mia irrequietezza.

Nonostante il mio enorme bisogno di comunicazione e contatto,
ho realizzato proprio in questi giorni che faccio una fatica sovrumana a tollerare  le nuove conoscenze
in cui mi sono imbattuta, per fortuna o per dovere.
Questo perchè, tranne qualche rarissima eccezione, 
passato il momento iniziale di euforia e conversazione divertentistica,
non ho voglia di giustificare o spiegare il mio modo di essere
a persone che, pur conoscendomi da poco tempo,
dall'alto della loro perfetta saccenza,
non fanno altro che sottolineare quanto sono contraddittoria,
quanto sono pessimista,
quanto sono sbadata, quanti paletti metto intorno a me,
quanto sono legata al mio passato,
quanto sono logorroica, quanto sono strana,
quanto è brutta l'impressione che dò,
quanto vivo male la mia vita,
quanto sono fissata con i film,
quanto sono fifona perchè non rischio.

Intendiamoci, sono tutte cose più o meno vere,eh.
Tuttavia, per quanto io possa cercare di esercitare un minimo di autocontrollo 
sulla mia permalosità e operare un'infinita opera di sopportazione,
questo sentirmelo dire quasi ininterrottamente, 
questo volermi necessariamente salvare da me stessa,
sta tirando fuori veramente il peggio di me e
non fa altro che farmi venire ancora meno la voglia di imbastire nuove relazioni.

La verità è che tutto quello che voglio e di cui ho veramente bisogno,
è stare con persone che mi conoscono davvero e non trovano fastidiose
le mie idiosincrasie, le mie eccentricità, le mie manie, le mie passioni.
Persone con cui non devo ricominciare tutto da capo a raccontare chi e come sono
e perchè sono come sono.
Persone con cui non devo giustificarmi continuamente di essere fatta come sono fatta.
Persone con cui mi sento nell'angolo giusto della mia vita,
senza dovermi sforzare di piacere o di essere migliore di quella che sono.

Persone che tirano fuori il mio più e mi fanno sentire a posto, anche quando a posto non lo sono.