Captain Fantastic, 2016, dir. Matt Ross
" It's a beautiful mistake. But a mistake." [cit.]
E' quello che afferma Ben Cash in uno dei momenti topici del film: quando, giunto all'epilogo di quello che è in qualche modo un punto di svolta della sua vita, si trova costretto a prendere coscienza che le sue convinzioni e i suoi ideali, che hanno alzato un muro quasi invalicabile tra lui e la società capitalistica del XXI° secolo, pur giuste in sé, hanno mandato in frantumi la vita di sua moglie e potrebbero pregiudicare quella dei suoi figli.
Cash ha deciso di crescere i suoi sei figli nelle foreste del nord-ovest degli Stati Uniti:niente tv, niente elettricità, niente cibo industriale, niente scuola se non gli insegnamenti accurati impartiti dai genitori; tanti libri, tanta musica, ma soprattutto tanta esplorazione, tanto esercizio fisico, caccia e agricoltura biologica. Sull'onda di una serie di utopie dichiaratamente socialiste e sfrontatamente hippie, Ben rende i suoi figli delle menti libere e presenti a sé stesse,capaci di sfoggiare una padronanza dialettica e logica che farebbe impallidire Aristotele in persona, perché nutrite di ogni tipo di nozione (tanto da riuscire a citare la costituzione a memoria e a comprenderne criticamente la sua applicazione) e addestrate a cavarsela nelle situazione più critiche e al limite.
Ma come dirà ad un certo punto il maggiore di loro, Bodevan,"a meno che non sia scritto su un cazzo di libro, io del mondo non so assolutamente niente". Ed è infatti questo il problema più grande e pericoloso:scegliere di vivere una vita alternativa, in contrapposizione e aperta contraddizione con la società, ha portato ognuno di questi ragazzi ad una vita di reclusione, priva del contatto con i propri simili, che nel bene e nel male, permette di maturare ed evolversi e di plasmarsi come individui indipendenti dalla propria storia famigliare.
Quello di Ben è un proposito meraviglioso che,tuttavia, applicato praticamente, se pur sorretto da tutto l'amore e il desiderio di verità possibili, si rivela un atto dannoso e controproducente.E nel caso della moglie, fatale.
E' a questo punto che il film mi ha coinvolta emotivamente: quando l'uomo prende coscienza del fatto che quel tipo di vita e di ideali distruggerebbero la vita dei suoi figli, fa un passo indietro e decide che quel meraviglioso errore deve essere corretto. Nel limite del possibile.Conosco poche persone che rinuncerebbero alla loro granitica visione della vita per il bene del destino dei loro figli: è necessario un coraggio e un'abnegazione fuori misura e non sempre è una medicina presa in tempo.
E' quando Ben decide di lasciare i suoi figli nella società "normale" e tornare tra le sue foreste, che si rivela la vera onesta intellettuale del film: se vieni cresciuto con determinati valori, anche se quei valori ti portano a tutta birra verso un futuro intricato e difficile, è dura metterli in discussione e abbandonarli definitivamente senza il minimo strascico. Ben lo fa, ma alla fine sono i suoi figli che scelgono di non lasciarlo.
Ed è a questo punto, dopo un viaggio dell'intera famiglia volto a realizzare l'ultimo desiderio della madre, che la piega della loro vita prende in qualche modo una piega meno estremista e secondo me ampiamente più condivisibile.
Questo film ha messo a dura prova la mia pazienza: l'ispirazione più tangibile è certamente Into the Wild di Sean Penn; ma al tempo, io non ho amato per niente le fondamenta ideologiche di quel film e rivederle applicate pari pari alla vita non di una singola persona, ma di una famiglia intera,fino all'ultimo dei bimbi che ha 5 anni, ammetto che mi ha fatto abbastanza imbestialire.
Il film riesce, tuttavia, a virare verso un'ottica più gestibile e apprezzabile, e poco importa se alla fine tutto quello che resta è un paesaggio da cartolina: è stato come vedere Into the wild che incontra la Famiglia Bradford,con in sottofondo i Guns 'n Roses. Solo che nel film il papà è L'Aragorn de Il Signore degli Anelli e non Dick Van Patten.
A dirla tutta, a me è andata benissimo così.
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