mercoledì 13 marzo 2013

       Dennis Nolet, Les detours de la conscience (1964)

" Un abbraccio fa paura. Un po' paura di non poterne uscire, un po' paura di non poterci tornare" - [cit. Tempibui]
Io solitamente non è che ho proprio paura. 
Anche se ammetto che l'idea di sentirmi in trappola è una sensazione che fa sempre capolino appena sotto la superficie della mia pelle praticamente sempre, ed è sempre più forte della voglia di lasciarsi andare completamente.
Come ho scritto altrove, in realtà è anche questione di sentirsi a proprio agio nella stretta vicinanza di qualcuno che non sei tu, è la sensazione che si prova in una situazione con una persona, è questione di riuscire ad essere trasportati in una speciale congiunzione di gesti, che sia anche e soprattutto priva di forzature.
La mia è, in più, anche una sorta di necessità di non banalizzarli questi gesti.
Forse perché ne ho sprecati tanti, di abbracci, nell'ultimo paio di anni e sono tutti momenti il cui ricordo, a volte, è anche molesto.

A volte ci sono abbracci che sono strani, non hai idea di cosa significhino, che non sembrano poi nemmeno abbracci, tanto sono non preventivati e  fugaci e restano come sospesi.
O forse ce l'hai, l'idea, ma l'effetto resta indecifrabile, c'è dentro tutto e il contrario di tutto. 
E tu che solitamente gli abbracci non è che proprio li regali i gratuitamente, perché una cosa del genere la trovi proprio una grande sciocchezza, non riesci a fare a meno di sentirti sempre ai lati di qualsiasi sentimento e di qualsiasi emozione che potrebbero racchiudere. 
Senti di essere inciampata un po' per caso in una sovrapposizione passeggera, poi ognuno si riprende la sua storia e la sua strada. Ma a differenza di altre volte, va bene così. Va bene.



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