Cavez, da Facebook
" C'era un incipit bellissimo e poi c'ero io,
che non sono brava a leggere le persone neanche tra le righe"
da Tumblr, ma non ricordo dove
" Penso alle cose inaspettate e alle cose che potrebbero non succedere.
Mi chiedo quale sia la sostanziale differenza tra esse."
Edoardo Vitale
Mi sono chiesta spesso, nell' ultimo paio di anni, che cosa provassi veramente rispetto alle persone o ai fatti della mia vita, sia quelli accaduti sia quelli che invece proprio no.
Sono accadute cose che volevo intensamente, da un sacco di tempo. Ma anche cose che non pensavo di volere e alla fine ho voluto con un'intensità e una fissazione alquanto preoccupante.
In mezzo, una sequenzialità di eventi e decisioni e imprevisti e prese di coscienza che hanno lasciato dietro loro tutta una serie di implicazioni su me stessa che se mi fermo a pensarci mi rimbomba nella testa un mastodontico "ma che cazzo?!".
E poi la rassegnazione mista alla necessità di tirare periodicamente le somme, sentendomi sempre più o meno alla deriva di tutto.
Ovviamente, come da copione, è capitato anche quello che assolutamente non volevo che capitasse e che mi ha risucchiato nel buco nero del mio passato, condizionando inevitabilmente quello che era il mio presente prima che si trasformasse in un futuro che in realtà già conoscevo, che non mi ha riservato nessuna sorpresa, tranne in alcune circoscritte occasioni. Perché il mio futuro è stato semplicemente un ritorno alla sorda disperazione da cui ero scappata...perché a me non capitano problemi in una vita che dovrebbe essere normale, ma qualche volta, solo un po' di normalità in una vita di problemi.Ma questa è un'altra storia.
Essere me stessa e vivere l'ultimo paio d'ani è stato un po' come quando tutti ti dicono che quella cosa "finché non accade a te, non puoi capire davvero cosa significa". Così.
Ma ovviamente quello che accade non è mai come lo immagini o te lo aspetti. E le aspettative, di qualunque tipo siano e da qualunque ragione scaturiscano, non solo non corrispondo praticamente mai, ma ti portano sul baratro di strade senza ritorno.
Eppure continuo ad essere convinta che non è possibile né umano non averne. Chi afferma il contrario, per quanto mi riguarda, mente spudoratamente a sé stesso e a chi ha intorno.
In ogni caso, ho passato un sacco di tempo a chiedermi (e lo faccio ancora ora), che cosa sentissi veramente. Se quello che accadeva lo volevo davvero o se lo volevo perché in qualche modo inseguivo una sorta di ideale che avevo in testa, e in quel momento, quella persona, quella situazione, quel modo di agire mio o dell'altro, era semplicemente la cosa più vicina a questo ideale.
La risposta è sempre stata un grande non lo so. E allora continuavo ad insistere, cercando per quanto possibile di trovare nuovi spunti in situazioni che poi non è che avessero tutta questa varietà di interpretazioni o possibilità. Credo che quello che facevo era aspettare cercando di capire. Capire meglio me stessa, più che altro, perché le persone io riesco forse ad intuirle, ma evidentemente non riesco a capirle mai come dovrei, soprattutto quando si tratta di leggere tra le righe.
Certamente non sentivo quello che avevo bisogno di sentire. Ed è buffo che ci sia stata e ci sia ancora questa discrepanza: questa sensazione radicata che ti fa essere convinta di sapere quello che vuoi e chi vuoi, ma ti fa sentire allo stesso tempo che manca qualcosa che non può essere ignorata perché condiziona tutto il resto.
E sentire crescere, ad ogni possibilità mancata o caduta nel vuoto, quella voglia di andartene e allo stesso tempo non sapere dove andare.
Certamente sapevo che quello che mi avrebbe, in qualche modo, aiutata ad attraversare tutto quel tempo confuso che avevo (ed ho) davanti, in realtà non c'era. Ma l'ho ignorato.
Così, invece che nuotare con fluidità, ho finito per rimanere giusto a galla.
Restando a galla, un po' ho annaspato e un po' ho avuto invece questi scatti di forza, quei moti di ribellione che quando stai facendo una gara di nuoto ti spingono a mettere in ogni bracciata l'ultimo briciolo di forza e quell'ultimo briciolo di orgoglio per arrivare fino alla fine, non importa in quale posizione. L'importante è concludere la vasca.
Certamente, lo scrivo con coscienza e cognizione di causa ora, non c'è mai stata quella scintilla emotiva che provocasse gli scossoni necessari a sentirsi vivi e, di conseguenza, anche delle reazioni che portassero assestamenti e direzioni.
E questo mi fa pensare tanto.
Mi fa pensare che tutto quello in cui mi sono imbattuta, essendo in qualche modo privo di questa scintillanza, fosse fatto di pensieri troppo idealizzati, troppo costruiti e troppo seguiti a tavolino. Come fossero frutto di una sorta di istinto pavloviano, ma niente di abbastanza concreto da portare da qualche parte.
E adesso che manca anche quello, quel riflesso condizionato, mi spaventa un unica cosa: che non sarò capace più di provare con intensità niente, nemmeno le felicità intermittenti a cui in qualche modo mi ero abituata prima.
Eppure l'incipit mi sembrava buono...................