lunedì 24 agosto 2015

"Mia nonna era il ramo incurvato dalle nascite.
Era il volto della casa seduto in cucina.
Era l'odore del pane e della mela conservata.
Era la mano del rosmarino e la voce della preghiera.
Era la povertà dei lunghi inverni
avvolta nello zucchero come un'umile ghiottoneria.
Quindici figli mangiarono dalle sue mani miracolose;
Quindici figli dormivano col suo sonno d'aquila.
In molti nipoti e pronipoti abbiamo continuato
a passare nelle sue braccia secche.
Ma lei è sempre la mano che mescola l'acqua e la farina.
È il silenzio delle notti pieno d'uccelli addormentati.
È il braciere dell'infanzia con la focaccia che scappava."

Miele Ereditato, Efraìm Barquero

Quando sono passata a trovarti, il giorno prima di partire, ero convinta che ci saremmo riviste. Non a breve forse, ma che ci saremmo riviste.
Nonostante tutti i tubi e le macchine a cui eri attaccata, e il fatto che avessi solo un filo di voce e non riuscissi a comunicare chiaramente, i tuoi occhi erano ancora vigili e presenti. 
Mi guardavano forse un po' spaesati,mentre ti tenevo la mano per l'ultima volta, ma voglio pensare che mi abbiano riconosciuta e che tu abbia inteso che il mio era solo un arrivederci e che ci saremmo riviste ancora.

Adesso sono dall'altra parte del mondo.
Non parlo solo di una distanza fisica di km, di strade e città sconosciute che ci sono tra Lecce e Torino e che di me e te non sanno assolutamente niente. Parlo di una distanza anche mentale...sono in un altro mondo, rispetto a quello che era il nostro: quello del nostro tempo, dei 36 anni della tua vita che mi hai dedicato, che non basterebbero altri 100 anni della mia per restituirti, allo stesso modo, presenza e affetto.
E' un tempo lontano e lungo, che raccoglie in sé ogni evento della mia vita, dal più banale al più importante: e ora non riesco a fare a meno di pensare alle foto di quando ero piccolissima, arancioni e provate dal tempo, in cui ci sono io sul tuo letto e le tue mani ancora giovani, eternamente fermate nel momento in cui mi stai sostenendo perché non rotoli giù. Questa cosa l'hai fatta per tutta la tua vita, senza sosta, senza tregua, senza mancare mai, persino nei momenti in cui il tuo fisico da persona anziana non ha più sostenuto te. 
E penso alla me stessa di tre anni, al ricordo che ho della notte in cui ho dormito da te perché mamma era in ospedale e nasceva mia sorella. Al pianto disperato con cui ti ho investito in piena notte, dicendo nel mio linguaggio improvvisato, tra i singhiozzi, che non mi voleva più bene nessuno, nonostante tu fossi lì e non mi hai lasciato per un momento, a dimostrazione di quanto mi sbagliavo.
Penso alla me stessa adolescente che hai accolto sotto il tuo tetto, dopo aver perso una figlia e la situazione era a volte così insostenibile da non far mai intravedere la luce alla fine del tunnel. Quella luce hai cercato di trovarla, soprattutto per me e con me, sforzandoti di travalicare le decadi di generazioni che ci separavano mentalmente; lo hai fatto a modo tuo, con gli strumenti di cui disponevi, riuscendo laddove il mio nucleo familiare di nascita ha miseramente fallito su tutti i fronti. Lo hai fatto cercando di stimolare l'operosità e il senso del lavoro,insegnandomi a stirare le camicie in maniera perfetta, a rifare il letto nel modo giusto, a piegare le lenzuola seguendo un certo schema, che a me è sempre sembrato un rituale sacro, ripetendomi di fare pulizia soprattutto agli angoli, perché la tua educazione di donna del sud, a cui si imponeva di essere forte e presente e in grado di mandare avanti la casa, era la più importante eredità che potevi e dovevi lasciarmi. Lo hai fatto ricordandomi di trovare un brav'uomo e ribadendo che, se non ci riuscivo, di far bene a star da sola, ché sono forte e non devo aver bisogno di nessuno per andare avanti; lo hai fatto non facendomi mai mancare la tua presenza, anche quando mi sono trasferita a 1250 km da casa e l'unica cosa che potevi fare era chiamarmi per sapere se avevo mangiato e assicurarti che stavo bene,ascoltando le mie confidenze e soprattutto le mie sfuriate, ché in 36 anni sono state tante.

La tua eredità morale è ben più grande di tutto questo, non è quantificabile in parole. Né eguagliabile in qualche modo con le mie azioni.
Perché so che non sarei arrivata fino a questo punto della mia vita, se tu non ne fossi stata parte attiva. E avere la consapevolezza che questo momento prima o poi sarebbe arrivato, al momento non attutisce l'urto del vuoto e del silenzio che lasci.
C'è questa simmetria, attraverso il tempo per la quale vorrei che le tue mani continuassero a sostenermi, come in quelle foto che ancora conservo gelosamente. Ma ora esiste solo il fatto che sono lontana, che non realizzo che non ci sei più, che non potrò darti l'ultimo saluto nella maniera che ti spetta.
E c'è qui, al centro del cuore, il mio più grande rimpianto: quello di non aver trovato il modo, la forza e la presenza di spirito per esserti vicina come dovevo negli ultimi tempi in cui ne avevi materialmente bisogno.

In tutto questo, spero solo che tu te ne sia andata serena. 
E, dovunque tu sia, ti prego di non preoccuparti. Stammi solo vicino in ogni caso,andrà tutto bene.

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