giovedì 22 gennaio 2015

" M'accorgo che correndo verso Y ciò che più desidero non è trovare Y al termine della corsa: voglio che sia  Y a correre verso di me, è questa la risposta di cui ho bisogno, cioè ho bisogno che lei sappia che io sto correndo verso di lei ma nello stesso tempo ho bisogno di sapere che lei sta correndo verso di me. L'unico pensiero che mi conforta è pure quello che mi tormenta di più: il pensiero che se in questo momento Y sta correndo in direzione di A, anche lei ogni volta che vedrà i fari di un'auto in corsa verso B si domanderà se sono io che corro verso di lei, e desidererà che sia io, e non potrà mai esserne sicura. Ora due macchine che vanno in direzioni opposte si sono trovate per un secondo affiancate, una vampata ha illuminato le gocce della pioggia e il rumore dei motori s'è fuso come in un brusco soffio di vento: forse eravamo noi, ossia è certo che io ero io, se ciò significa qualcosa, e l'altra poteva essere lei, cioè quella che io voglio sia lei, il segno di lei in cui voglio riconoscerla, sebbene sia proprio il segno stesso che me la rende irriconoscibile. Correre sull'autostrada è l'unico modo che ci resta, a me e a lei, per esprimere quello che abbiamo da dirci, ma non possiamo comunicarlo né riceverne comunicazione finché stiamo correndo.
Certo mi sono messo al volante per arrivare da lei al più presto; ma più vado avanti più mi rendo conto che il momento dell'arrivo non è il vero fine della mia corsa. Il nostro incontro, con tutti i particolari inessenziali che la scena d'un incontro comporta, la minuta rete di sensazioni e significati e ricori che mi si dispiegherebbe davanti - la stanza con il philodendron, la lampada d'opaline, gli orecchini -, e le cose che direi, alcune delle quali sicuro sbagliate o equivocabili, e le cose che lei direbbe, in qualche misura certamente stonate o non quelle comunque che io m'aspetto, e tutto il rotolio di conseguenze imprevedibili che ogni gesto e ogni parola comporta, solleverebbero attorno alle cose che abbiamo da dirci, o meglio che vogliamo sentirci dire, una nuvola di brusio tale che la comunicazione già difficile al telefono risulterebbe ancora più disturbata, soffocata, sepolta come sotto una valanga di sabbia. E' per questo che ho sentito il bisogno , anziché di continuare a parlare, di trasformare le cose da dire in un cono di luce lanciato a centoquaranta all'ora, di trasformare me stesso in questo cono di luce che si muove sull'autostrada, perché  certo che un segnale così può essere ricevuto e compreso a lei senza perdersi nel disordine equivoco elle vibrazioni secondarie, così come io per ricevere e comprendere le cose che lei ha da dirmi vorrei che non fosse altro (anzi, vorrei che non fosse altro) che questo cono di luce che vedo acanzare sull'autostrada a una velocità (dico così, a occhio) di centodieci-centoventi. Ciò che conta è comunicare l'indispensabile lasciando perdere tutto il superfluo, ridurre noi stessi a comunicazione essenziale, a segnale lumioso che si muove in una data direzione, abolendo la complessità delle nostre persone e situazioni ed espressioni facciali, lasciandole nella scatola d'ombra che i fari si portano dietro e nascondono. La Y che io amo in realtà è quel fascio di raggi luminosi in movimento, e tutto il resto di lei può rimanere implicito; e il me stesso che lei può amare, il me stesso che ha il potere d'entrare in quel circuito d'esaltazione che è la sua vita affettiva, è il lampeggio di questo sorpasso che sto, per amor suo e non senza qualche rischio, tentando [...]"

Il Guidatore Notturno, Italo Calvino. 

domenica 18 gennaio 2015


" Che paura che hai, che paura che ho di te. / Tutto quello che fai e che continui  a difendere. / Sei vicino e distante, non ti fidi di  niente, neanche di me./ Non funzionerà mai se non funziona così com'è / e non migliorerai se ti ostini ad attendere / come acqua stagnante / non c'è nessuna corrente / dentro di te / E complimenti mi hai convinto / che l'amore non basta / e così non mi resta / che lasciarti stare / senza nessuno che ti giudica nessuno / intendo, che ti sgrida e si preoccupa. / Sarà senz'altro tutto molto più leggero / ma sei sicuro sia meglio per davvero? / Volevo esserti di peso, perché dipendo da te. / E' che l'amore non basta / e tutto quello che resta di te / senza nessuno che mi giudica nessuno, intendo, che mi sgrida e si preoccupa / sarà senz'altro tutto molto più leggero / però non credo che sia meglio davvero / Volevo esserti di peso."

Ci sono giorni che passerei interamente in macchina, guidando e ascoltando musica. Guidare mi rilassa, in genere. Se fatto con la giusta colonna sonora, mi aiuta a pensare e a metabolizzare fatti e persone; in qualche caso mi restituisce la giusta ottica delle cose. Meglio, mi restituisce un'ottica equilibrata rispetto all'eccessività d'impatto con cui mi scontro riguardo a tutto e a tutti.

Oggi è successo che ho guidato tanto. E ne avevo bisogno.
Non mi sono esattamente rilassata, perché ho dentro un guazzabuglio intricato di emozioni che, ora più che mai, mi fanno inciampare in me stessa e mi fanno sentire, appunto, incapace di intercettare la giusta corrente per andare da qualche parte e impantanata in uno specchio di acqua ferma.
Ed io ho bisogno di un'onda. O almeno di un leggero vento.
Più ancora, un nuovo ordine di pensieri che mi aiuti a migliorare, a mettere ordine, ad alleggerire un po' tutte le dimensioni della mia vita,sia a livello pratico che emozionale.

E soprattutto, che mi aiuti a lasciar(mi) andare, una volta per tutte.

mercoledì 14 gennaio 2015

" Poi c'è che un giorno ozioso quanto basta per avere il tempo lieve di farsi una tazza di caffelatte e attendere intorpiditi davanti al gas il borbottio del caffè incipiente capiti di fissare i magneti sulla placca antistante e scorgerne uno, preso a una mostra qualche anno fa, che ami particolarmente e, in un istante, capirne il perché.Perché di tutte e fra tante cose che mancano nel non avere una relazione stabile con qualcuno, quella che più manca o che è meno "riproducibile"( non è questa la parla che vorrei usare, ma non me ne vengono in mente altre), poiché sottratta a una relazione estemporanea, è il senso dell'abbandonarsi, del lasciarsi andare. Che è una sensazione fisica e mentale, dove corpo e pensiero sono acqua che trova forma in un accomodamento l'uno con l'altro, in un cadersi addosso profondo, intimo e combaciante. Un lasciarsi andare in cui gli spazi si richiudono su se stessi, incuranti del mondo fuori, in un ermetico languore che diventa bozzolo protettivo. Totalmente indifeso, vulnerabile e nudo e al tempo stesso massimamente coperto. E non è una questione di abiti. Non è questione di pelle o di contatto. O meglio non solo, perché non sarà alcuna stoffa, alcuna frapposizione tessile ad impedirlo. Un volo a planare in cui i pensieri come le membra si arrendono senza tema o esitazione, fidandosi e abbandonandosi. Una risacca emotiva in cui l'andare e il ritornare sono suggellati da un lunghissimo istante di infinita bastevole fusione."

da [el miedo escénico] - caterpillar.iobloggo.com


Ecco. 
E' inevitabilmente questo che è venuto meno.
E non  serve a niente continuare a chiedermi perché, credo.
E, forse, in fondo, non è colpa di nessuno. 
Ma l'amaro in bocca mi resta in ogni caso e nonostante tutte le ingiunzioni di maturità e logicità e dignità che posso cercare di impormi o assorbire da chi ho intorno.

domenica 11 gennaio 2015


" Hai paura? Ti batte il cuore, eh? Anche a me...A me mi batte il cuore perchè ti batte il cuore perché tu hai paura... [...] io avevo voglia di portarti qua e basta...
quando ti ho vista sotto l'acqua cercare un tassì mi è venuta come una voglia di...
di rapirti...strapparti qualche cosa, un pezzo di camicia, un bottone
[...] a me mi piacerebbe, sai, magari c'ho un appuntamento alle 5, mentre vado all'appuntamento, qualcuno mi rapisse per mezz'ora...[...] però..."

Stregati, 1986, dir. F. Nuti


E niente, navighi a caso per riempire il tempo tra qui e domani e vieni presa da un attacco di Nutite.
Ma il film non lo trovi...

Ed io resto sola con il mio desiderio. L'altro.