sabato 4 luglio 2015


 The Disappearance of Eleanor rigby, 2014, dir. Ned Benson

" If every dream / Awakes to me / Awakes to you / If every clock / turns back to me / turns back to you / So what fate awaits without you / without you? / So what fate awaits me. / If every road / comes back to me / comes back to you . / So no fate awaits me / without you, without you / So no other fate awaits you [me] / without me [you]"
Son Lux, No fate awaits me


Sebbene lo script in sé non abbia nulla di innovativo, questo è un film abbastanza particolare. Soprattutto perché non si tratta di un singolo film, ma di due: pellicole complementari e legate, che allo stesso tempo però restituiscono due prospettive lontane tra loro.
Avevo cercato di vederlo a novembre, al Torino Film Festival, ma le date del mio fuggevole soggiorno non sono coincise. E in ogni caso i biglietti erano sold out da tipo due giorni prima. La fortuna ha voluto, per una volta, venirmi incontro, in quest'ultimo soggiorno: il cinema Massimo, uno dei miei preferiti, nonché cinema ufficiale del Museo Nazionale del Cinema, lo ha riproposto in lingua originale durante la retrospettiva di luglio. Pensare che io sarei dovuta partire almeno cinque giorni prima. E invece.
Invece per questa volta sono riuscita a riprendermi qualcosa che non è stato possibile prima. Succede così raramente nella mia esistenza che il solo fatto di essere riuscita a vederlo, al di là dell'impressione che ne è derivata, è già una grande vittoria.

Come dicevo all'inizio, in realtà i film sono due: Him and Her. Connor e Eleanor. Entrambi sempre costantemente in scena nei loro film, che sono i loro momento di sviscerare e raccontare quello che gli ha uniti e divisi e riuniti e divisi ancora. Viviamo la vicenda complessiva tramite i loro sguardi, chiaramente parziali e soggettivi e inevitabilmente pieni di omissioni e particolari diversi. Ci vengono raccontati i medesimi gesti, gli stessi loro movimenti, le loro reazioni o anche le loro non reazioni, ma con distanze e posizioni e soprattutto prospettive e interpretazioni diverse, a seconda che il protagonista sia lui o lei. Sono due persone che si sono amate intensamente: in una scena comune a entrambi, un ricordo di entrambi che viene raccontato con una scelta sapiente e dosata di particolari e intenzionalità diversi per lei e per lui, c'è un momento di intimità che io ho amato molto in cui lui le dice: "ho solo un cuore nel petto, non spezzarlo". Di primo acchito ti sembra una sdolcinatezza talmente infantile e stucchevole da voler passare immediatamente oltre. Invece ci ragioni su un momento e pensi che in fondo le persone vorrebbero sempre mettere in chiaro proprio questa cosa prima che sia troppo tardi, sperando in un po' di compassione? attenzione? delicatezza? bah.
Si sono amati molto, ma ad un certo punto una tragedia irrompe nelle loro vite e nessuno dei due è preparato al dolore e alla tristezza. Soprattutto, non possono prevedere che le loro reazioni e il modo che hanno di elaborare questo dolore, li allontaneranno da quello che sono stati,  che volevano essere e che pensavano di essere e invece non sono.

Mentre segui lui, abbandonato e un po' impotente rispetto alla cosa, che ha scelto un modo per continuare ad andare avanti incomprensibile agli occhi della compagna, ci chiediamo inevitabilmente cosa stia facendo lei, la cui presenza si percepisce costantemente. Perché lui non si capacita e non riesce a vivere senza di lei,mentre è costretto a prendere decisioni definitive riguardo al suo lavoro e al suo rapporto con il padre. E si chiede: "perché ci innamoriamo di una persona e non di un'altra?". Già, perché?
Mentre segui lei, che ha abbandonato e non ne vuole più sapere niente di lui ( o almeno così vuol dare ad intendere,ma...), ti ritrovi con una persona che cerca di dimenticare un dolore che invece le resterà radicato per sempre dentro, una persona che non sa più chi è, che a tratti pare non volerlo nemmeno più sapere, ma che voglia appunto solo scomparire. E la vedi andare avanti a tentoni, mentre cerca di ricostruirsi una routine senza troppa convinzione, mentre cerca di trovare un nuovo ritmo alla sua vita, ammesso che ci riesca, e chiede semplicemente che le persone smettano di ricordarle che c'è qualcosa non va. 

La visione è sempre parziale, il regista fa un gran lavoro nel decidere cosa mostrare, cosa non mostrare, cosa omettere a seconda del punto di vista, lasciandoci il dubbio di come siano andate effettivamente le cose. Il punto di vista raccontato è estremamente soggettivo, non solo nella realtà di quello che davvero i due vivono, ma perfino nella lettura degli eventi: vi sono scene in comune, quelle in cui i personaggi si incontrano e i flashback che si arricchiscono di particolari diversi a seconda che si tratti di lui o lei; ma sopraggiunge anche un gioco di incastri in cui in un film assistiamo ad una scena che nell'altro è affidata al racconto di terzi, o viceversa. O semplicemente ci sono cose che non coincidono perché questo è anche il racconto di ricordi e la memoria è fallace, perché sopravvengono i meccanismi di protezione di ognuno a modulare la realtà stessa delle cose. Cose che dovrebbero essere oggettivamente uguali, semplicemente sono diverse, anche per il semplice posizionamento delle due persone in una stanza, una giacca indossata o meno, una parola detta prima o dopo.
Decidere di dedicarsi prima a lei o a lui cambia, poi, totalmente il modo in cui si vivranno le rispettive storie: il fascino dell'esperienza è appunto nella consapevolezza dettata dall'ordine scelto. Personalmente, io non ho potuto fare a meno di immedesimarmi un po' in lei,ma  inevitabilmente ho preferito di gran lunga la versione di lui.

Il finale resta aperto, come si vede dal video. Nessuno saprà esattamente a quale destino sono andati incontro. Io, da inguaribile romantica, spero che l'ultimo tratto di strada lo abbiano fatto insieme. Ma se anche non fosse, certamente ad un qualche destino sono andati incontro e quello, forse, è l'importante.

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