lunedì 27 luglio 2015

" Amarsi quindi forse non significa  essere felici. Significa sentirsi vivi, e più forti perfino di quell'amore. Capaci di spegnerlo, o di metterlo in un posto segreto, e rinunciarci continuando a tenere dentro quella sensazione di vicinanza, e l'idea che da qualche parte sarà possibile incrociare gli occhi, e di nuovo, almeno una volta ancora."

Annalena Benini

Di questi tempi, in realtà, sto pensando il contrario. Non perché sia una cosa più giusta o migliore, ma semplicemente perché per una come me è l'unica alternativa possibile, l'unico modo per non sentire dentro quella pena e quel senso di tortura psicologica che, alla fine di tutto, poi mi rende più sola e più cattiva.
Mi costringo a guardare oltre, concedendomi solo ogni tanto di guardare dallo spioncino, ma da lontano e quando capita. 
La sensazione di vicinanza può essere una beffa amara. Molto.


venerdì 24 luglio 2015

" La differenza fra passato e futuro esiste solo quando c'è calore. Il fenomeno fondamentale che distingue il futuro dal passato è il fatto che il calore va dalle cose più calde alle cose più fredde. Ma perché il calore va dalle cose calde alle cose fredde e non viceversa? Il motivo lo ha trovato il fisico austriaco Ludwig Boltzmann ed è sorprendentemente semplice: è il caso. L'idea di Boltzmann è sottile, e mette in gioco la nozione di probabilità. Il calore non va dalle cose calde alle cose fredde obbligato da una legge assoluta: ci va solo con grande probabilità. Il motivo è che è statisticamente più probabile che un atomo della sostanza calda, che si muove più veloce, sbatta contro un atomo freddo e gli lasci un po' della sua energia, che non viceversa. L'energia si conserva negli urti, ma tende a distribuirsi in parti più o meno eguali quando cci sono tanti urti a caso. In questo modo le temperature di oggetti in contatto tendono ad uniformarsi. Non è impossibile che un corpo caldo si scaldi ancora di più mettendosi in contatto con un corpo freddo: è solo terribilmente improbabile. Questo portare la probabilità al centro delle considerazioni fisiche e usala addirittura per spiegare le basi della dinamica del calore fu considerato assurdo all'inizio."

Carlo Rovelli da Sette Brevi Lezioni di Fisica

Il numero di corpi freddi con cui entro in contatto (o il fatto stesso che io mi senta tale in talune occasioni della mia vita) e le conseguenza che, mio malgrado ne derivano a seconda dei casi, mi fa pensare che il " terribilmente improbabile" non sia poi così improbabile.


Sono ospite di amici mentre cerco casa. Dormo in cucina, su un divano più comodo di un letto ed ho di fronte una finestra. Quando ho scattato questa foto erano appena passate le 21 ed era il tramonto...in linea d'aria,nel mio orizzonte, c'è una mongolfiera che funge da attrazione turistica, che mentre sale, si illumina. Per tutta la sera, sospesa tra un film e lo sguardo fuori dalla finestra, l'ho vista sorgere e tramontare tre o quattro volte. 
Come una seconda, incantevole e magica Luna.
Solo adesso mi viene in mente che, visto il mio umore cangiante per una svariata serie di motivi (il caldo torrido; cerco casa e non la trovo; oppure trovo una casa fantastica ma non ho un coinquilino e da sola non me la posso permettere; ho poco tempo per risolvere questo problema e, soprattutto, pochi soldi; la gatta è lontana e mi manca un sacco; ho incontrato per caso S. che mi presente la "nuova fidanzata" ed io sono davvero contenta per lui, perché l'ho visto bene, ma non riesco ad impedirmi di pensare che tra noi non è andata e in questo ne ho una grande responsabilità), il fatto in sé mi ricorda tanto una versione notturna dei 43 tramonti che il Piccolo Principe guarda quel giorno in cui era davvero triste. Ma per fortuna io in questo momento non lo sono. Non esattamente almeno. Tuttavia, il fatto che io citi a 36 anni un libro per bambini per esorcizzare le mie piccole ansie, mi pare un po' patetico, ma tant'è...


Su tutto, sogno disperatamente di riuscire ad essere la prossima inquilina della stanza che è proprio accanto a questa, con una finestra che dà sullo stesso sfondo, e mi dispero all'idea che, come tutte le cose della mia vita, dovrò rinunciarci perché non ho i mezzi.

E intanto è notte. La Luna ha smesso di sorgere, aspetto il mattino e quello che porterà.

# sere torinesi
# alla finestra
# facciamo alzare una Luna

lunedì 13 luglio 2015


Fabio Magnasciutti

# Ineluttabilità
# True Story of my life
# La genialità



Cavez, da Facebook

" C'era un incipit bellissimo e poi c'ero io, 
che non sono brava a leggere le persone neanche tra le righe"

da Tumblr, ma non ricordo dove

" Penso alle cose inaspettate e alle cose che potrebbero non succedere. 
Mi chiedo quale sia la sostanziale differenza tra esse."

Edoardo Vitale


Mi sono chiesta spesso, nell' ultimo paio di anni, che cosa provassi veramente rispetto alle persone o ai fatti della mia vita, sia quelli accaduti sia quelli che invece proprio no. 

Sono accadute cose che volevo intensamente, da un sacco di tempo. Ma anche cose che non pensavo di volere e alla fine ho voluto con un'intensità e una fissazione alquanto preoccupante.
In mezzo, una sequenzialità di eventi e decisioni e imprevisti e prese di coscienza che hanno lasciato dietro loro tutta una serie di implicazioni su me stessa che se mi fermo a pensarci mi rimbomba nella testa un mastodontico "ma che cazzo?!". 
E poi la rassegnazione mista alla necessità di tirare periodicamente le somme, sentendomi sempre più o meno alla deriva di tutto.
Ovviamente, come da copione, è capitato anche quello che assolutamente non volevo che capitasse e che mi ha risucchiato nel buco nero del mio passato, condizionando inevitabilmente quello che era il mio presente prima che si trasformasse in un futuro che in realtà già conoscevo, che non mi ha riservato nessuna sorpresa, tranne in alcune circoscritte occasioni. Perché il mio futuro è stato semplicemente un ritorno alla sorda disperazione da cui ero scappata...perché a me non capitano problemi in una vita che dovrebbe essere normale, ma qualche volta, solo un po' di normalità in una vita di problemi.Ma questa è un'altra storia.

Essere me stessa e vivere l'ultimo paio d'ani è stato un po' come quando tutti ti dicono che quella cosa "finché non accade a te, non puoi capire davvero cosa significa". Così. 
Ma ovviamente quello che accade non è mai come lo immagini o te lo aspetti. E le aspettative, di qualunque tipo siano e da qualunque ragione scaturiscano, non solo non corrispondo praticamente mai, ma ti portano sul baratro di strade senza ritorno. 
Eppure continuo ad essere convinta che non è possibile né umano non averne. Chi afferma il contrario, per quanto mi riguarda, mente spudoratamente a sé stesso e a chi ha intorno.
In ogni caso, ho passato un sacco di tempo a chiedermi (e lo faccio ancora ora), che cosa sentissi veramente. Se quello che accadeva lo volevo davvero o se lo volevo perché in qualche modo inseguivo una sorta di ideale che avevo in testa, e in quel momento, quella persona, quella situazione, quel modo di agire mio o dell'altro, era semplicemente la cosa più vicina a questo ideale. 
La risposta è sempre stata un grande non lo so. E allora continuavo ad insistere, cercando per quanto possibile di trovare nuovi spunti in situazioni che poi non è che avessero tutta questa varietà di interpretazioni o possibilità. Credo che quello che facevo era  aspettare cercando di capire. Capire meglio me stessa, più che altro, perché le persone io riesco forse ad intuirle, ma evidentemente non riesco a capirle mai come dovrei, soprattutto quando si tratta di leggere tra le righe.

Certamente non sentivo quello che avevo bisogno di sentire. Ed è buffo che ci sia stata e ci sia ancora questa discrepanza: questa sensazione radicata che ti fa essere convinta di sapere quello che vuoi e chi vuoi, ma ti fa sentire allo stesso tempo che manca qualcosa che non può essere ignorata perché condiziona tutto il resto. 
E sentire crescere, ad ogni possibilità mancata o caduta nel vuoto, quella voglia di andartene e allo stesso tempo non sapere dove andare.
Certamente sapevo che quello che mi avrebbe, in qualche modo, aiutata ad attraversare tutto quel tempo confuso che avevo (ed ho) davanti, in realtà non c'era. Ma l'ho ignorato.
Così, invece che nuotare con fluidità, ho finito per rimanere giusto a galla. 
Restando a galla, un po' ho annaspato e un po' ho avuto  invece questi scatti di forza, quei moti  di ribellione che quando stai facendo una gara di nuoto ti spingono a mettere in ogni bracciata l'ultimo briciolo di forza e quell'ultimo briciolo di orgoglio per arrivare fino alla fine, non importa in quale posizione. L'importante è concludere la vasca.
Certamente, lo scrivo con coscienza e cognizione di causa ora, non c'è mai stata quella scintilla emotiva che provocasse gli scossoni necessari a sentirsi vivi e, di conseguenza, anche delle reazioni che portassero assestamenti e direzioni.

E questo mi fa pensare tanto.
Mi fa pensare che tutto quello in cui mi sono imbattuta, essendo in qualche modo privo di questa scintillanza, fosse fatto di pensieri troppo idealizzati, troppo costruiti e troppo seguiti a tavolino. Come  fossero frutto di una sorta di istinto pavloviano, ma niente di abbastanza concreto da portare da qualche parte. 
E adesso che manca anche quello, quel riflesso condizionato, mi spaventa un unica cosa: che non sarò capace più di provare con intensità niente, nemmeno le felicità intermittenti a cui in qualche modo mi ero abituata prima. 

Eppure l'incipit mi sembrava buono...................

sabato 4 luglio 2015

"Io non ho un centro, non ho certezze, non ho equilibrio, non so difendermi, ho solo la forza che mi viene da tutto quello a cui sono sopravvissuta. E la paura, costante."
Daria Bignardi, L'Amore che ti meriti.


Arrivata a questo punto della mia vita speravo di essere in grado di affrontare le cose. Soprattutto quelle riguardano le meschinità che mi riservano sempre i componenti della mia famiglia. E invece sembra che a certi circoli viziosi non ci sia rimedio. Mai.

Vorrei non dover più cercare la forza per andare avanti solo per sfracellarmi sugli scogli.



 The Disappearance of Eleanor rigby, 2014, dir. Ned Benson

" If every dream / Awakes to me / Awakes to you / If every clock / turns back to me / turns back to you / So what fate awaits without you / without you? / So what fate awaits me. / If every road / comes back to me / comes back to you . / So no fate awaits me / without you, without you / So no other fate awaits you [me] / without me [you]"
Son Lux, No fate awaits me


Sebbene lo script in sé non abbia nulla di innovativo, questo è un film abbastanza particolare. Soprattutto perché non si tratta di un singolo film, ma di due: pellicole complementari e legate, che allo stesso tempo però restituiscono due prospettive lontane tra loro.
Avevo cercato di vederlo a novembre, al Torino Film Festival, ma le date del mio fuggevole soggiorno non sono coincise. E in ogni caso i biglietti erano sold out da tipo due giorni prima. La fortuna ha voluto, per una volta, venirmi incontro, in quest'ultimo soggiorno: il cinema Massimo, uno dei miei preferiti, nonché cinema ufficiale del Museo Nazionale del Cinema, lo ha riproposto in lingua originale durante la retrospettiva di luglio. Pensare che io sarei dovuta partire almeno cinque giorni prima. E invece.
Invece per questa volta sono riuscita a riprendermi qualcosa che non è stato possibile prima. Succede così raramente nella mia esistenza che il solo fatto di essere riuscita a vederlo, al di là dell'impressione che ne è derivata, è già una grande vittoria.

Come dicevo all'inizio, in realtà i film sono due: Him and Her. Connor e Eleanor. Entrambi sempre costantemente in scena nei loro film, che sono i loro momento di sviscerare e raccontare quello che gli ha uniti e divisi e riuniti e divisi ancora. Viviamo la vicenda complessiva tramite i loro sguardi, chiaramente parziali e soggettivi e inevitabilmente pieni di omissioni e particolari diversi. Ci vengono raccontati i medesimi gesti, gli stessi loro movimenti, le loro reazioni o anche le loro non reazioni, ma con distanze e posizioni e soprattutto prospettive e interpretazioni diverse, a seconda che il protagonista sia lui o lei. Sono due persone che si sono amate intensamente: in una scena comune a entrambi, un ricordo di entrambi che viene raccontato con una scelta sapiente e dosata di particolari e intenzionalità diversi per lei e per lui, c'è un momento di intimità che io ho amato molto in cui lui le dice: "ho solo un cuore nel petto, non spezzarlo". Di primo acchito ti sembra una sdolcinatezza talmente infantile e stucchevole da voler passare immediatamente oltre. Invece ci ragioni su un momento e pensi che in fondo le persone vorrebbero sempre mettere in chiaro proprio questa cosa prima che sia troppo tardi, sperando in un po' di compassione? attenzione? delicatezza? bah.
Si sono amati molto, ma ad un certo punto una tragedia irrompe nelle loro vite e nessuno dei due è preparato al dolore e alla tristezza. Soprattutto, non possono prevedere che le loro reazioni e il modo che hanno di elaborare questo dolore, li allontaneranno da quello che sono stati,  che volevano essere e che pensavano di essere e invece non sono.

Mentre segui lui, abbandonato e un po' impotente rispetto alla cosa, che ha scelto un modo per continuare ad andare avanti incomprensibile agli occhi della compagna, ci chiediamo inevitabilmente cosa stia facendo lei, la cui presenza si percepisce costantemente. Perché lui non si capacita e non riesce a vivere senza di lei,mentre è costretto a prendere decisioni definitive riguardo al suo lavoro e al suo rapporto con il padre. E si chiede: "perché ci innamoriamo di una persona e non di un'altra?". Già, perché?
Mentre segui lei, che ha abbandonato e non ne vuole più sapere niente di lui ( o almeno così vuol dare ad intendere,ma...), ti ritrovi con una persona che cerca di dimenticare un dolore che invece le resterà radicato per sempre dentro, una persona che non sa più chi è, che a tratti pare non volerlo nemmeno più sapere, ma che voglia appunto solo scomparire. E la vedi andare avanti a tentoni, mentre cerca di ricostruirsi una routine senza troppa convinzione, mentre cerca di trovare un nuovo ritmo alla sua vita, ammesso che ci riesca, e chiede semplicemente che le persone smettano di ricordarle che c'è qualcosa non va. 

La visione è sempre parziale, il regista fa un gran lavoro nel decidere cosa mostrare, cosa non mostrare, cosa omettere a seconda del punto di vista, lasciandoci il dubbio di come siano andate effettivamente le cose. Il punto di vista raccontato è estremamente soggettivo, non solo nella realtà di quello che davvero i due vivono, ma perfino nella lettura degli eventi: vi sono scene in comune, quelle in cui i personaggi si incontrano e i flashback che si arricchiscono di particolari diversi a seconda che si tratti di lui o lei; ma sopraggiunge anche un gioco di incastri in cui in un film assistiamo ad una scena che nell'altro è affidata al racconto di terzi, o viceversa. O semplicemente ci sono cose che non coincidono perché questo è anche il racconto di ricordi e la memoria è fallace, perché sopravvengono i meccanismi di protezione di ognuno a modulare la realtà stessa delle cose. Cose che dovrebbero essere oggettivamente uguali, semplicemente sono diverse, anche per il semplice posizionamento delle due persone in una stanza, una giacca indossata o meno, una parola detta prima o dopo.
Decidere di dedicarsi prima a lei o a lui cambia, poi, totalmente il modo in cui si vivranno le rispettive storie: il fascino dell'esperienza è appunto nella consapevolezza dettata dall'ordine scelto. Personalmente, io non ho potuto fare a meno di immedesimarmi un po' in lei,ma  inevitabilmente ho preferito di gran lunga la versione di lui.

Il finale resta aperto, come si vede dal video. Nessuno saprà esattamente a quale destino sono andati incontro. Io, da inguaribile romantica, spero che l'ultimo tratto di strada lo abbiano fatto insieme. Ma se anche non fosse, certamente ad un qualche destino sono andati incontro e quello, forse, è l'importante.

mercoledì 1 luglio 2015



Bodies//Kiss di Amor Coetzee

In questi giorni  ho aperto forte gli occhi. 
Senza versare una lacrima, senza nemmeno far tremare una ciglia. 
Ho aperto forte gli occhi e, come in ogni favola moderna, ho chiuso un po' di più il cuore. 
E adesso sono calma. Ho un leggero nodo in gola, ma sono calma.
Sono forse leggermente infastidita dalla mia Stupidità, che ha i tuoi occhi e la tua voce, ogni volta che ti trovo nelle vicinanze e mi guarda come se tutto fosse normale, senza la benché minima differenza, ma alla fine sono calma. 
Anche perché durerà poco: ho un treno tra due giorni e questa volta non ho intenzione di perderlo per nussun motivo.
Sono talmente calma che sono preoccupata per il fatto di essere così calma. 
Perché essere calma, non è proprio una delle mie caratteristiche più spiccate; e in determinate situazioni, poi, non è una cosa contemplabile nemmeno: sono una persona eccessiva che non conosce le mezze misure, che si lascia sempre coinvolgere, sono entusiasta delle cose in cui credo e mi ci butto con tutti e due i piedi, le mani, gli organi. Perché diversamente ho idea non varrebbe la pena di vivere nulla. 
E magari è infantile, controproducente, non è da persona adulta e matura. 
Ma un comportamento contenuto e misurato e calcolato in ogni dettaglio, semplicemente, non è da me. Per questo sono preoccupata dell'essere così calma. Anche un po' annoiata.

E nel profondo niente, in questo silenzio al rallentatore, in quest'aria ferma, in cui sento distintamente la molla dell'illusione che si è rotta e scatta a vuoto, di una sola cosa sento una mancanza smodata.
Ho capito che mi manca un sacco una sensazione precisa di certi rapporti passati, e che soprattutto nell'ultimo si è verificata in maniera già di per sé molto preoccupantemente edulcorata: la sensazione di quando sento l'improvviso nella pancia.  
La sensazione di quando sento che sta per accadere qualcosa che il mio corpo esige, che mi procurerà un certo piacere fisico e mentale, ma non ne posso essere certa. Di quando il mio corpo mi fa capire che va bene perché è caldo, anche se la temperatura è sotto i 15° gradi e dovrei sentire freddo. Di quando una mano mi sfiora il collo, delicatamente, e due braccia mi tengono stretta senza l'intenzione di lasciarmi andare. Di quando avvicino le mie labbra al corpo di chi mi abbraccia e il mio viso trova spazio nell'incavo tra il suo collo e la scapola. Di quando non so cosa accadrà dopo, ma so che un istante subito prima sto bene e resterei così per sempre.
Ecco, ho capito che non sento più quell'improvviso. Che non mi sorprendo più di niente e di nessuno. E non so se mi capiterà ancora in futuro.
Sono calma e non so se riuscirò a sentirla mai più la sorpresa di vivere un determinato momento e di esserci dentro con tutta me stessa, come mi è capitato fino a poco tempo fa. 
Perché adesso so ed ho aperto forte gli occhi.
Essere calma mi preoccupa. Un sacco.