lunedì 24 novembre 2014

"Le cose stanno in questo modo. Tu sei una tipa da ottantacinque per cento e James è uno che dà solo il venti per cento. Non lo fa per cattiva volontà, è che non è capace. Un sacco di uomini sono così ma le donne non lo capiranno mai. Le donne continuano a dare. E pensano che se andranno a letto con il tizio da venti per cento, e daranno anche quel  loro quindici per cento finale, si sveglieranno miracolosamente accanto a un cento per cento. Sbagliato. Sarà già tanto se si sveglieranno accanto a quel tizio, e basta. Probabilmente troveranno un biglietto sul cuscino, con su scritto 'sono tornato a casa a dar da mangiare al cane', o qualcosa del genere."
 "Non sei forse anche tu uno da venti per cento?"
"Touché! Ma rifletti, Aggie. Se un'ottantacinque per cento continua a frequentare i venti per cento vuol dire che è altrettanto refrattaria ad impegnarsi."
da "Agatha Raisin e il mago di Evesham", Beaton M.C.

AmicoCapo (ormai ex capo) oltre al ruolo di "Amico" e di "Capo", svolge nella mia vita l'ulteriore ruolo di "Suocera". Non per altro fa parte della Famiglia del Mulino Bianco ed è il fratello maggiore della mia Coscienza, quella con il nome e l'indirizzo diverso dal mio.

AmicoCapo è stato sempre molto onesto e critico, e di questo lo ringrazio, riguardo a un po' tutte le mie (dis)avventure sentimentali. Anche quando avventure non lo erano.
Non vede assolutamente di buon occhio il fatto che io e il LoveFriend dei tempi che furono siamo rimasti in contatto. Lo giudica ampliamente inappropriato e continua a ripetermi che l'unica idea che rimando all'esterno è che "non mi è passata". Così ogni volta che per sbaglio il suddetto viene nominato, sorride con sussiego e scuote forte la testa.
Ha tifato(e continua tuttora a farlo) per un caro amico che si è dichiarato in maniera molto cinematografica e ancora non si capacità del perché io non abbia almeno considerato di dare a quest'uomo una possibilità. Perché secondo AmicoCapo, lui è quello giusto ed io sono troppo immatura per accorgermene.
Quando nella mia vita è entrato S., la cosa più "carina" che mi ha detto è stata: "ma seriamente pensavi che uno con una storia come la sua avrebbe capitolato per te? Non farmi ridere".

E in una di quelle mattine in cui arrivavo in lacrime a casa sua per badare alla rampolla, la Duenne del mio cuore, dopo l'ennesimo nulla di fatto e le sbronze e i il mio comportamento senza più il lume sacro della ragione, AmicoCapo mi ha detto pari pari che era tutta questione di PREDISPOSIZIONE. Non tanto quella degli altri, quanto la mia.
Quella che non si vuole impegnare in realtà sono io. E di conseguenza, questa mia predisposizione a fare l'eterna adolescente ("ma chi? ma mi hai guardata bene?" [cit.])mi porta inevitabilmente a frequentare uomini che non si impegnano perché io li vado a scovare con il lumicino, per assecondare il mio inconscio che grida "scappa,scappa sei ancora in tempo, scappa e non voltarti".

Io per la verità non ho mai voluto scappare, ma correre incontro.
Il problema è che diventare adulti sembra significhi perdere un pezzetto di sè alla volta, lo spazio emotivo che siamo disposti a concedere è ogni volta sempre più ristretto. 
A volte scompare.
Io ho la sensazione di correre a perdifiato incontro a soggetti che hanno questo spazio talmente frammentato che in confronto le 7.107 isole delle Filippine sono un continente a se stante.

Poi sei arrivato tu. Che sei un muro e mi dai l'idea che le parole "spazio emotivo" non hai nemmeno idea di cosa significhino. E tutto si è ripetuto, con dettagli diversi e avventatezze fuori calibro che la metà poteva bastare, ma con una consapevolezza e una lucidità che non mi erano mai capitate prima.
Io ho dato molto più dell'ottantacinque per per cento, tu molto meno del venti.
E quel che è peggio è che non mi pento di niente e rifarei tutto quanto senza esitazione. 

Ma AmicoCapo questo non lo sa.

martedì 4 novembre 2014


L'altra sera ero a cena con le mie famigliole preferite e una delle mie tante amiche sposate, mentre parlavo del piccolino a cui faccio attualmente da babysitter,raccontando di come assomigliasse alla mamma quando è corrucciato e al papà quando ride, mi ha guardato intensamente e dopo un momento mi ha detto: "tu devi fare un figlio". 
Non un "dovresti" o un "hai mai pensato". Ma un devi. 
Ed io, come al solito, le ho risposto " va bene così, per me è meglio fare la zia a tutti i vostri pargoli. Decisamente basta la gatta". 

E' la seconda persona che, in quindici giorni, mi dice la stessa cosa ed io ho sempre qualche problema a rispondere.
Perché rispondere mi porta inevitabilmente a pensare a mia madre, a quanto mi manca irrimediabilmente, a quanto ha significato crescere senza di lei. E penso alla mia infanzia e alla mia adolescenza, che non sono state propriamente delle più felici. 
E so solo che io non voglio avere figli perché ho paura di non potergli garantire una vita migliore di quella che è toccata vivere a me. Perché ho paura di non poter esserci sempre o che possa accadere qualcosa che ci separi senza che io riesca ad impedirlo. 
Ho paura di non poterli proteggere, sempre. Proteggerli dalle persone, dai fatti dalla vita, da me stessa, da chi vorrebbe loro poco bene o da chi, al contrario, gliene vorrebbe troppo.

Faccio fatica a rispondere perché guardo la mia vita sentimentale e  l'unica risposta che mi viene in mente è :" guardami: per un motivo o per un altro, riesco sempre a scegliere l'uomo sbagliato, a fare scelte sbagliate, a fare le cose giuste al momento sbagliato o con le persone sbagliate, le cose sbagliate con le persone giuste. Insomma, sbaglio di default, sapendo di sbagliare e non imparando mai la lezione." 
E perché come dice alla fine del post questa mamma,che ha la mia stessa età ed ha già due figli: nessuno sa cosa sta facendo veramente, "perché i sentimenti si provano e molto spesso, purtroppo non si riescono". Come potrei fare un figlio, io, che non li riesco mai?

E poi penso inevitabilmente ad Angelica, alla mia piccola dolce Angelica. E all'affetto innato ed istintivo che riesco a provare solo per lei, ma per nessuno di tutti i bimbi dei miei amici, ai quali pure sono affezionata.
E la ricordo piccolina,di tre mesi, che dormiva tra le mie braccia; ricordo i primi dentini e di quando ha gattonato la prima volta; di quando mi ha abbracciata la prima volta e di quando mi ha sorriso riconoscendomi; di quando ha fatto la varicella qualche mese fa e aveva la febbre e mi teneva la mano, di quando ho chiamato per il suo compleanno e lei mi ha detto "ciao" al telefono; di quando è caduta ed io non ho dormito per tre giorni perché mi sentivo in colpa; di giochiamo ad inseguirci intorno al tavolo, di quando faccio finta di rimproverarla e lei sa benissimo che sto scherzando e mi sorride, ma poi obbedisce; di quando al matrimonio di un amico ha lasciato la mano della mamma (cosa che non fa mai) per stare sempre con me. Di quando sono irrimediabilmente esasperata dalla mia vita che va sempre al contrario e passo a trovarla e tutto svanisce, non conta più niente, ci siamo solo io e lei ed è tutto quello di cui ho bisogno per tirare avanti. 
Di quando tutte le volte che mi vede, anche quando passano settimane e mesi, mi ripaga con lo stesso affetto incondizionato che è riservato ad un parente stretto.
Non sono la mamma di Angelica, sono stata solo la sua babysitter.  
Ma penso spesso che lei è quanto di più vicino io potrò mai avere ad un figlio. 
E non sapevo nemmeno io quello che facevo, ma il risultato mi dice che forse non ho sbagliato proprio tutto.
E adesso che lei è a Torino ed io sono tornata a Lecce, la lontananza è talmente logorante che non riesco a trovare le parole nemmeno per spiegarla questa cosa.

La verità è che dentro di me sento che un figlio non sono pronta ad averlo e non so se sarò pronta mai, perché in qualche modo non sono più una figlia, ma non mi sono mai sentita una madre. 
E se anche fossi pronta ad esserlo, questo figlio, come tutte le cose della mia vita, probabilmente non  arriverà mai.
Ma rispondere così a chi mi dice che "devo fare un figlio" è troppo lungo. 
Meglio dire che va bene fare solo la zia.