venerdì 26 ottobre 2012

Quello che mi resta è

L'aria pungente delle 7,30 del mattino.
Non importa che sia estate o inverno, a Torino è pungente uguale.
E ti sveglia.

Le persone alla fermata, quella dove ho aspettato il 68 per quasi ogni mattina degli ultimi sei mesi.
Immancabilmente vicino al lampione c'è sempre una coppia,
lei è una donnona bionda, alta e possente,lui è quasi 10 cm più basso di lei ed ha una faccia talmente  simpatica che ti vien voglia di essergli subito amica.
Ogni tanto ho pensato che si siano sposati da poco, sebbene dai gesti e dalla confidenza,
la sensazione è che siano una coppia di vecchissima data.
Si sono salutati con un bacio ogni singola mattina,sia con il bello che con il cattivo tempo.
Anche quando sembravano arrabbiati o assonnati e senza voglia di parlare.
Ed io ovviamente gli ho invidiati tanto.
C'è il vecchietto con il bastone,che mi ha fatto sempre tanta tenerezza.
Le due signore bionde che parlano una lingua che non conosco, forse rumene.
Il ragazzo terribilmente carino sempre con l'ipod in mano e un sorriso sornione che spunta spesso 
mentre cerca la canzone giusta per cominciare la giornata.
Il ragazzo bassino con la barbetta e gli occhiali da hipster, che assomiglia tanto 
ad un personaggio di una sitcom, un po' goffo ma geniale.
Ogni tanto c'è anche il mio (adorato) professore di sceneggiatura, quello con cui avrei voluto fare la tesi,
che spunta con il figlioletto duenne e tanti libri sotto il braccio.

Il 68 sempre strapieno, che spesso viene sostituito da una corsa e dal 18 preso al volo.
Strapieno pure quello, ma in qualche modo devo raggiungere l'altra parte della città.
Porta Nuova che alle 8 del mattino sembra un po' Porta Palazzo il sabato pomeriggio.
E poi il 33. Perchè il 10 è sovraccarico della folla di studenti che scenderà al Politecnico.

Quando arrivo a destinazione, è' sempre inesorabilmente tardi, 
ma non sono mai riuscita a fare a meno di un cappuccino al bar e due chiacchiere con Claudia, 
la barman (o dovrei dire barwoman?bah...) del Newscafè all'angolo. 
Non sono riuscita a salutarla e un po' mi dispiace.
E poi incrocio il ragazzo che lavora nel tabaccaio a fianco, 
che sembra la copia con meno muscoli di James Magnussen,
con il quale non ho mai scambiato una parola, anche perchè ero sempre persa a guardargli gli occhi.
E tutto quello che c'era intorno.

L'ufficio è nel seminterrato.
La mia postazione che non è la mia, con il pc che romba già qualche minuto dopo l'accensione,
quasi fosse un aereo in fase di decollo.
Il silenzio innaturale che non è mai stato scalfito da un urlo o da uno scoppio di risa.
Ma io sono un po' sorda, potrei non essermene nemmeno resa conto.

Collega R.R., che in realtà non è un collega, ma un amico del capo.
Ho sentito storie sul suo conto che non mi sentirei di ripetere.
Mi limito a ricordarne l'eterno lamentarsi della Vodafone e i fischi imprevedibili nel silenzio più totale,
nonchè il fatto che riuscisse a raccattare qualsiasi cosa che il mondo decide di buttare.

Le telefonate sistematiche e ripetute di un ingegnere di Udine alle 8.45 del mattino, 
il tramite per un lavorone veramente grande a cui partecipa lo studio,
che si presentava quasi sempre bisbigliando,per Cognome e Nome,
detti tutti d'un fiato, come fosse un unica parola.
E  Collega F. che impreca sonoramente quando sente squillare il telefono, 
perchè sa già chi è, e impreca anche mentre gli passo la chiamata, 
ma quando è in linea ritrova immediatamente il suo tono più professionale e attento.
E poi quando arriva l'ora di pranzo,la  passa interamente a guardare i film più svariati

CollegaAmica, che conosco da quasi un anno e che mi ha portato questo lavoro,
con i suoi occhi verdissimi che sorridono anche quando è stanchissima
perchè la sera prima ha fatto tardi per una degustazione di vini.
Composta e pacata  anche quando è  decisamente incazzata con me, 
che la stuzzico quando le dico che si prende troppo sul serio ed è proprio un'ingegnere.
Sempre pronta a prendere in mano la situazione e gestire le mie crisi,
soprattutto al di fuori del lavoro.
CollegaAmica che è una buona forchetta e organizza gli aperitivi e le cene e le spedizioni alle sagre,
e mi presenta tanti uomini che mi colpiscono, ma che riesco a vedere una volta ogni 3 mesi.
CollegaAmica che mi consiglia di abbattere tutti i paletti che ho e cerca di aprirmi gli occhi
e mi rimprovera che dovrei smetterla di scappare quando le cose si fanno serie
(Già, e cominciare a vivere).

La SorellaStronza del capo resta la sorellastronza del capo e su di lei non dirò altro.
Per il mio bene e anche per il suo.

I tatuaggi dell'elettricista. E l'elettricista.

La voce di Collega A., l'ultimo arrivato in studio,
che ogni volta che risponde al telefono e dice "ciao" anche quando parla con un suo superiore,
lo fa in modo talmente buffo e tenero, che mi è venuta spesso voglia di 
registrarla e tenerla come suoneria da sentire appena sveglia al mattino.
Non gliel'ho mai detto, ma la sua è la voce più bella di tutto l'ufficio,
quella che rasserenerebbe la persona più agitata,
quella che è troppo bello ascoltare e non per motivi maliziosi,
ma semplicemente perchè è bella bella bella.

E poi c'è D., o  Sportivone,come lo chiamo io.
D. è' stata la prima persona che ho incrociato quella mattina di aprile 
in cui mi sono presentata per il colloquio e non sapevo a cosa andavo incontro.
La quintessenza dell'ingegnere tipo, lavoratore indefesso.
Il suo appetito è direttamente proporzionale al suo stacanovismo.
E' professionale persino nell'organizzazione del pranzo.
D. che mi saluta sempre dicendo "bonjour" quando arriva e mi chiede ogni giorno come va.
D. che mi prende in giro senza misura per qualsiasi cosa, 
centrando con una precisione chirurgica tutti i miei difetti e le mie mancanze,
facendolo quasi ininterrottamente fino a che proprio non mi fa incazzare,
perchè proprio non riesce a farne ameno,
ma poi è quello che in qualche modo mi tira su di morale e mi conforta 
quando sono profondamente demoralizzata per i casini che combino.
D., profondamente ottimista che mi rimprovera  il mio pessimismo cosmico 
e il mio essere contraddittoria senza speranza.
D. che è alto, magro e biondo e pedante.
D. che guarda film solo quando piove e va al cinema una volta l'anno e solo per i film in 3D.
D. che mi sfida in una gara di nuoto e compra le pinne per essere più veloce.
Io uno così Ingegnere nel midollo lo dovrei odiare a prescindere e senza riserve, 
e invece è in assoluto il miglior collega che abbia mai avuto in quasi dieci anni di lavoro:
senza il suo aiuto probabilmente non me la sarei mai cavata e 
avrei vissuto molto molto (ma molto) male questi sei mesi.

Tutte le sere che ho fatto straordinario per scrivere lettere in francese.
La prima che ho scritto mi ha fatto arrivare tardissimo a cena dalla Famiglia del Mulino Bianco
e fatto perdere l'inizio di quasi tutte le partite degli europei dell'Italia.
Ed ho imprecato e faticato e non lo so se il francese sono riuscita a metabolizzarlo e scriverlo per bene. Certamente ho capito che io e i francesi proprio non ci prenderemo mai.
Ma che forse sarebbe ora che io vada 2-3 giorni a Parigi prima di arrivare a rimpiangerlo.

Questo lavoro è stata insieme l'esperienza più formativa e tribolata di tutta la mia vita fino ad ora.

Tre giorni fa il mio contratto è scaduto.
Ed io lo sapevo che sarebbe scaduto, ma ho sperato fino all'ultimo che si protraesse per un
altro paio di mesi.
Ora sono nuovamente con il destino appeso ad un filo.Questa volta ancora più sottile dei precedenti.
Ho tanto presente davanti e un futuro che non riesco a vedere, perchè potrebbe non esserci
e se ci sarà, ancora una volta sarà pieno di compromessi indigesti e di scelte che non mi vanno bene.

Ed io continuo a guardare a quello che mi resta perchè almeno è qualcosa di tangibile e di vivo,
con tutta una sorta di svariate sfumature che mi resteranno dentro per molto tempo.
Continuo a guardare a quello che mi resta, alternando i sorrisi alla paura e all'autocritica,
cercando il modo di migliorarmi.
Continuo a guardare a quello che mi resta. Anche perchè al momento non so proprio cosa altro fare.


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