lunedì 16 gennaio 2012

Quando è tempo di neve...


Se mi venisse chiesto, giusto per una conversazione, non credo avrei difficoltà a nominare almeno 4-5 film
che potrebbero rappresentare perfettamente i miei gusti e incarnare, in qualche modo, il mio immaginario.
Film che potrebbero rappresentare, per stile e scelte musicali e caratteristiche tecniche, 
una perfetta rappresentazione cinematografica. Almeno secondo la mia modesta opinione,s'intende.
"Love Story" non rientra tra quei 4-5 titoli.
E' un bel film? Drammatico, strappalacrime, a tratti sdolcinato.
Perfettamente in linea con lo stile boys-meets-girl che ancora oggi fa sfacelli,
ma in maniera meno impegnata. 
Un cult negli anni '70,  7 nomination e 1 oscar per l'intramontabile colonna sonora.
Ma onestamente, non è né un capolavoro, né un gran film.
Eppure.
"Love Story" è, se mi si passa il gioco di parole, tutta un'altra storia.
"Love Story" è molto più della rappresentazione di un immaginario.
Almeno nel mio caso.
E non è perchè sono una romantica senza speranza 
appassionata di pellicole strazianti e tormentata, con finali al limite della disperazione,
quelli che la mia Coscienza (quella con il nome e l'indirizzo diversi dal mio) definirebbe
"mattoni nei c******i".


E' l'unico film di cui conosco a memoria ogni singola sequenza, scena, ambientazione, passaggio musicale.
E' l'unico film di cui conosco a memoria ogni singola battuta,di ogni singolo dialogo, tanto da non aver avuto bisogno dei sottotitoli, quando l'ho rivisto questa sera.


"Love Story" è una sorta di vaso di Pandora. 


All'interno di quel vaso c'è l'ingenuità della me stessa di 13 anni, 
quando ho letto per la prima volta il libro-sceneggiatura creato appositamente per il film. 
Me lo prestò una zia da parte di madre, un giorno che passai a trovarla e non so come si finiva sempre
a parlare di quanto mi piacesse leggere e del fatto che non passasse inosservato il fatto che
"divoravo" qualsiasi cosa a forma di libro.
C'è la tenerezza  che ha provato la me stessa di 14 anni,
quando ho visto il film per la prima volta, e mio padre, passando distrattamente in camera,
mi ha raccontato che è stato il primo film visto al cinema ai tempi in cui lui e la mamma erano fidanzanti.
Ancora oggi, papà ha un impermeabile uguale a quello che indossa Oliver
il giorno in cui presenta Jenny ai suoi genitori, nella visita a metà semestre.
C'è la mia ossessiva compulsione a rivedere uno stesso film ancora e ancora e ancora,
per non perdere nemmeno un particolare,in quei pomeriggi dopo pranzo, 
per ingannare il tempo prima degli allenamenti di nuoto e lo studio
e il gruppo di teatro. E mia madre, esasperata, che dopo la sesta volta mi urla
che dovrei smetterla. O che almeno dovrei cambiare film.
Ci sono le mie fantasticherie adolescenziali, dopo quella sera d'estate con L.
e il ritornello musicale che ho ascoltato ininterrottamente, quando quella sera ormai
era passata e non restavano che briciole di vita e qualche lacrima immeritata.
C'è anche la scempiaggine di pubblicità delle Mentos con "Where Do I begin": 
è una delle pubblicità che più mi ha fatto più incazzare nel mercificare una colonna sonora.
(L'altro caso è "Your Love" di Morricone, usata ultimamente dall'Enel.)
C'è l'irresistibile déjà vu, quando qualche anno dopo ho rivisto il film con il lovefriend storico
e, invece dei mugughi che mi spettavo, per aver proposto un film così sconsideratamente lacrimevole 
e femminile, lui mi ha abbracciato e, forse provando la stessa sensazione di prossimità con la storia,
mi ha detto semplicemente "Non pensavo fosse così. Avremmo dovuto vederlo prima, siamo noi".
Senza farlo volutamente, ci ritrovammo a vederlo abbracciati, nello stesso identico modo
in cui sono abbracciati loro sul divano, mentre studiano, e Jenny dice "Ti amo" come se fosse
semplicemente la cosa più normale da dire in quel momento. 
In  qualche modo, nel nostro caso, la fantasia non era per niente lontana dalla realtà.
C'è tutto un'immaginario di conversazioni con le mie compagne di università,
nei pomeriggi in cui avevo vent'anni, studiavo storia dell'arte e, ogni tanto,
volevo essere una studentessa di Harvard, volevo saper suonare il piano,
volevo essere Ali MacGraw, avere il suo stile, la sua classe, la sua bellezza sobria,
unito all'acume e all'ironia del personaggio che interpretava. 
Ancora oggi, anche se non disperatamente come allora, vorrei quella maglia di Harvard.
(E la sciarpa,non dimentichiamo la sciarpa di Oliver).
(No,Ryan-monofaccia- O'Neal se lo poteva tenere Jennifer: sono sempre stata disposta a dar credito ad un
unico biondo ed è Robert Redford.)
C'è la mia convinzione che una cerimonia convenzionale non potrà mai essere all'altezza
dello scambio di una promessa costruita sulla certezza incrollabile, 
sul senso di appartenenza innato che ci spinge a legare la nostra vita a quello di un altro essere umano,
senza costrinzione o senso del dovere o retaggi tradizionali.



E quando arriva il freddo ed è tempo di neve, 
oggi che vivo in una città dove è una consuetudine, non posso fare
a meno di pensare a tutte le sequenze più importanti del film.

"Love Story" è una costante ricorrenza della mia vita.
Con i dovuti adattamenti.
E' il mio film. E amare (un certo tipo di film) significa non dover mai dire mi dispiace.

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